mercoledì 7 aprile 2010

Io sono l'amore

IO SONO L’AMORE di Luca Guadagnino (Italia, 2009)

di Giona A. Nazzaro

http://temi.repubblica.it/micromega-online/il-film-della-settimana-io-sono-lamore-di-luca-guadagnino/

Si abusa molto della parola amore, ultimamente. Espressione principe del tumore che affligge la lingua italiana, le parole, schiacciate dalla funzione unica della comunicazione, vengono erose per insignificanza sempre crescente. La crisi etica del nostro paese è la perdita di realtà delle parole in funzione della cosiddetta comunicazione. La dittatura della comunicazione ha ucciso – se non altro ha severamente menomato – la possibilità di accedere al bene comune del linguaggio. Come che dire che qualunque cosa l’amore sia mai stato, di certo oggi non lo è più. Bisogna farsene una ragione: la parola amore non esiste più.

Per riprendere a vivere, quindi, probabilmente bisogna ricominciare dalle parole. Usarle con parsimonia. Intelligenza. Gusto. E soprattutto con piacere. Io sono l’amore di Luca Guadagnino fa proprio questo.

Se la crisi delle parole italiane è grave, quella del cinema nazionale lo è forse ancor di più, trattandosi di un ambito dove la parola, la lingua e il linguaggio fluttuano in una bolla di vuoto insignificante che si manifesta, appunto, in un pensiero non debole, ma inesistente e che produce di conseguenza un cinema nullo.

Luca Guadagnino con Io sono l’amore affronta a testa bassa una situazione culturale in fase di necrotizzazione in nome del piacere. Guadagnino si riappropria pubblicamente di un lessico che sembrava dovesse essere monopolio esclusivo del collaborazionismo cinetelevisivo per lanciare un’offensiva contro il proprio Paese in nome del principio di piacere.

Presentato a Venezia l’anno scorso dove ha subito un’accoglienza estremamente contrastata, Io sono l’amore è invece uno di quei film che rendono giustizia al binomio “cinema italiano”.

Milano è il luogo narrazione del film di Guadagnino. L’epicentro nevralgico è la famiglia Recchi. Industriali plutocrati, affetti da hybris buddenbrookiana ma dotati di un insaziabile gusto per il potere. Il patriarca (Gabriele Ferzetti) si ritira: passa le redini dell’azienda di famiglia al figlio Tancredi (Pippo Delbono) e al nipote Edoardo (Flavio Parenti).

Quest’ultimo, in realtà, sogna un ristorante all’insegna di sapori nuovi, autentici e tradizionali al tempo stesso da aprire con l’amico Antonio (Edoardo Gabbriellini). Emma (Tilda Swinton), moglie di Tancredi e madre di Edoardo, s’innamora follemente di Antonio, immemore di ruolo sociale, convenienza, etichetta, orgoglio e pregiudizio.

Guadagnino dirige il suo cast con passione viscontiana. Non c’è nota che non accarezzi con sensualità inaudita e non c’è inquadratura che non riveli d’essere stata amata e pensata. Gli avversi rimproverano al regista troppa intenzionalità dimenticando che nel melodramma, regno della stilizzazione folle, è proprio il tratto netto a offrirsi come segno del caos.

Coadiuvato dal direttore della fotografia Yoprick Le Saux (che vanta collaborazioni con nomi del calibro di Nico Papatakis, François Ozon e Olivier Assayas), Guadagnino letteralmente restituisce forma e colori a una città, Milano, vittima di una demagogica normalizzazione coatta.

La macchina da presa del regista vola, s’innalza, pedina, striscia, s’incanta, sogna come se fosse viva assurgendo a co-protagonista di Io sono l’amore.
Inebriato da odori, colori, suoni, forme, Guadagnino compone una sinfonia sensuale per corpi mutanti ed emozioni insurrezionali dimostrando letteralmente che il cinema – proprio come le parole – è una lingua viva se si sa come parlargli.

Ed ecco che Io sono l’amore rivela un cinema che in Italia non siamo più abituati a vedere sullo schermo. Un cinema che pratica la discontinuità della comunicazione a favore della parola. Un cinema profondamente politico che invece di fare prediche ai già convertiti offre agli occhi piaceri inauditi e scandalosi.

Quando il conflitto è alto si risponde con un volume di fuoco estetico ancor più alto. Niente minimalismi. Niente pianti. Niente materassi alle finestre o carri disposti in cerchio. Niente retorica. Si risponde con la ferocia dell’intelligenza, con la spavalderia della sensualità, con la gioia della parola, con l’arroganza del godimento, con il piacere del cinema.
Per riaffermare una verità sacrosanta: Io sono l’amore.

(1 aprile 2010)

Nessun commento:

Posta un commento

Related Posts with Thumbnails