giovedì 3 febbraio 2011

Il fatal balcone


Siamo stati un popolo di piazza anche noi. E non stupisce che non lo vogliamo più essere.


Dal fatal balcone una Roma mai vista
Mattia Feltri, LaStampa, 3 febbraio 2011

Il brivido del feticista non si racconta, si raccomanda. Anche se adesso è inutile che vi affrettiate verso Palazzo Venezia: il fatal balcone non è più un tabù ma non è ancora una consuetudine. E questa potrebbe essere la risposta alla domanda che molti si saranno posti: come mai sul balcone - dal quale Benito Mussolini, il 10 giugno 1940, dichiarò l’ingresso nella Seconda guerra mondiale, dopo avervi arringato gli italiani («italiani!») per un decennio e mezzo - non si è mai più vista anima viva? La stessa domanda se l’era posta Mario Resca (direttore generale per la valorizzazione del patrimonio culturale), e gli era stato risposto che una delle prime leggi repubblicane impediva l’utilizzo del balcone per scopi turistici o ricreativi o anche altamente culturali.

Non si sarebbe fatto del poggiolo un luogo della memoria, o addirittura della nostalgia. Tanto è vero che quel coriandolo di pietra (più o meno ottanta centimetri per due metri e mezzo) era stato ultimamente adibitio a deposito per due motori dell’aria condizionata. E, come racconta a La Stampa la sovrintendente per il Polo museale della città di Roma (di cui Palazzo Venezia fa parte), Rossella Vodret, ricopriva il ruolo di appoggio logistico per le fasi di montaggio e smontaggio delle mostre. L’importante era che nessuno si affacciasse mai, né per la caricatura né tantomeno per l’emulazione. La lunga ricerca della leggina, dice oggi Resca, «si è conclusa in nulla».

Cioè, la legge non esiste, se non come tradizione orale, una specie di eccesso di zelo asceso di bocca in bocca alla dignità di norma. E la finestra che dà sul balcone era quindi perennemente occultata da un pesante tendaggio nero e chiusa con un lucchetto per una damnatio memoriae spontaneamente nata fra i gestori del Palazzo, dalla notte del Gran Consiglio in poi (25 luglio 1943). Ma qualche giorno fa, visitando insieme con Resca la mostra «Due imperi.

L’Aquila e il dragone», a Giorgio Napolitano è stato aperto e mostrato il balcone, sebbene il presidente si sia limitato alla sbirciata e abbia prudentemente evitato di sporgersi. «Nell’occasione - dice Resca - e dopo molte altre chiacchierate, abbiamo chiesto al Capo dello Stato se considerasse sconveniente che il balcone fosse aperto e utilizzato, di quando in quando». Napolitano non si è opposto. Naturalmente la cosa va fatta con le cautele del caso.

Ieri, per esempio, per accedere al luogo così a lungo calpestato dagli stivaloni del Duce, il cronista ha dovuto spuntare una considerevole quantità di permessi. La praticabilità del balcone non sarà automatica, almeno non da subito. Non andate domattina a compulsar la mostra e battere i pugni quando due gufi nerovestiti, piazzati a guardia della finestra, vi negheranno l’affaccio. Insomma, come dice Rossella Vodret, il «balcone fa parte di un palazzo storico, che ha cinque secoli e mezzo di esistenza, una piccolissima porzione della quale dedicata al fascismo.

Credo sia giusto che oggi, sfumati i rischi del pellegrinaggio elegiaco, il balcone sia restituito al palazzo, al museo, alla vita». E dunque è probabile che un pomeriggio di aprile, senza annunci e squilli di tromba, si deliberi di aprire le finestre per far entrare un po’ di luce e di aria, e che di conseguenza i visitatori abbiano la facoltà di dare un’occhiata alla piazza, così come la vedeva Mussolini durante i suoi orgasmi oratori.

E che la cosa si ripeta poi frequentemente sino a diventare normale. Certo che, con l’interesse che gli italiani continuano a dimostrare per il Ventennio, ci si domanda come mai, caduto il divieto sacrale, non si sia deciso di trasformare il luogo in un business. Un biglietto per visitare la sala del Mappamondo (dove il Duce lavoravae riceveva le ospiti per il quotidiano relax) e l’annesso balconcino: soldi a palate per finanziare la cultura, sempre a corto di liquidi.

A dire la verità, è un’idea talmente ovvia che è venuta a tutti. Ma non è sembrato il caso. Non ancora, almeno. Certe coscienze sono così sensibili, sul tema, così storicamente corrette, che si è giudicato già un bel colpo togliere le catene alle maniglie senza cori di geremiadi. Poi, fra qualche tempo, chissà.
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