mercoledì 31 marzo 2010

Figlie e nuore

Dal Blog di Galatea


Figlie e nuore. Il luminoso futuro delle donne e della società tutta nei piani di Silvio.
30 marzo 2010

Per un attimo, l’effetto è stato quello di essere capitata per sbaglio dentro una macchina del tempo: la voce che sentivo doveva provenire da molto lontano, da un imprecisato passato dalle parti degli anni ‘50, meglio ancora dei ‘30, fatto di signorine grandi firme che s’apprestavano a diventare signore bene appena indossato un anello.

Invece no, era la conferenza stampa con cui Berlusconi illustrava quanto il suo governo aveva fatto ed ancora farà per i giovani. Non una cartolina del passato, dunque, ma il racconto di un luminoso futuro da situare attorno al 2020. Che il nostro amato Premier, accompagnato dalla sorridente ministra delle Gioventù, Giorgia Meloni, ha così sintetizzato in un impeto di descrizione poetica: “Il patto intergenerazionale che vogliamo promuovere è una famiglia in cui la generazione dei nonni aiuta ad accudire i nipoti, per permettere ai neogenitori di rimanere sul mercato del lavoro. In cambio, figlie e nuore si prenderanno cura degli anziani quando diventeranno non autosufficienti”.

Dunque, ragioniamo un attimo, fatemi capire. Noi ci stiamo avviando verso un sistema economico globale, in cui saremo in diretta concorrenza con paesi molto più agguerriti di noi, che hanno investito da anni nella ricerca e nella qualificazione del personale a tutti i livelli somme ingenti; un mondo in cui le intelligenze saranno il bene più prezioso, e i cervelli in grado di fare innovazione contesi sul mercato: siano essi cervelli femminili o maschili, saranno cervelli in movimento. Un mondo in cui sarà sempre più importante per il singolo poter cambiare rapidamente città, paese, magari incarico, quindi essere slegato mentalmente ma soprattutto praticamente da tutti quei vincoli materiali che potrebbero penalizzarlo (tipo: “Oh, cazzo, potrei accettare un lavoro migliore a Firenze, ma non posso andarci perché non saprei come fare a gestire il pupo, se non ho mia madre vicina che me lo tiene!”). E la proposta di sviluppo che il Premier mi mette dinnanzi agli occhi, qual è? Asili nido, scuole con orario pomeridiano allungato, servizi sociali diffusi sul territorio e di facile accesso? No. Un universo chiuso in cui la giovane coppia a momenti fa fatica persino a cambiare quartiere, perché è legata alla figura dei nonni che devono fare da babysitter, dato che, se mamma e papà vogliono continuare a lavorare, devono avere a disposizione loro, gli anziani di casa, che vadano a scuola a prendere i pupi, li sorveglino nel pomeriggio, li accudiscano quando solo ammalati. Altrimenti salta tutto. Non è ben chiaro quando i nonni troveranno il tempo di farlo, peraltro, questo servizio sociale gratuito alle nuove generazioni: se lavoreranno anche loro fino a 65anni, infatti, i figli avranno bambini piccoli quando i nonni saranno ancora nel pieno dell’attività, e avranno disponibile, grasso che cola, forse la pausa pranzo. E allora, Silvio, spiegamelo un po’, il pupo chi me lo guarda?

Ma se dal punto di vista dei servizi a giovani siamo nella cacca fino al collo, è addirittura meraviglioso quanto si prospetta per gli anziani: a prendersi cura dei nonni ormai inservibili per fungere da baby sitter perché condannati al pannolone saranno, udite udite, figlie e nuore. Cazzo, meno male! Mi pare giusto! Figlie e nuore, infatti, sono donne, pardon, femmine: mica è pensabile che abbiano qualche lavoro di responsabilità, che facciano chessò, il medico, l’avvocato, l’imprenditrice, il libero professionista. I figli, maschi, non possono lasciare il loro lavoro per accudire i vecchi infermi, le figlie e le nuore sì, che cavolo avranno mai da fare d’altro nella vita? Potranno tranquillamente licenziarsi dai loro lavoretti part time, che tengono di certo solo per una forma di autogratificazione personale, mica perché in famiglia per tirare avanti ci vuole un doppio stipendio: a portare i soldi a casa ci pensa il marito, loro possono mollare tutto e fare l’infermiera o la badante al nonno che sbavacchia e abbisogna di cambiar catetere ogni dieci minuti! Se poi una è figlia unica e anche nuora, e rischia perciò di ritrovarsi ad accudire, magari contemporaneamente, i genitori del marito e quelli suoi, meglio ancora: avrà una vita piena di gratificazioni, volete mettere? E sapete l’enorme vantaggio che ne avrà la società tutta, quando magari stuoli di brave cardiologhe, architette, biologhe, imprenditrici, negozianti o anche solo diligenti spazzine dovranno piantare in asso i loro lavori ed i loro incarichi e licenziarsi per andare a badare a mamme e papà confinati a letto perché non c’è un cazzo di struttura pubblica che sia in grado di prendersi cura di loro! Economicamente parlando, una meraviglia: centinaia di lavoratori con competenze specifiche che vengono buttate nel cesso, perché il “patto fra generazioni” di Silvio ha della società una idea che dire solo arcaica è quasi un atto di ingiustificato ottimismo, dato la definizione più corretta sarebbe “al di fuori di ogni realtà”.

Preparatevi, questo vi prepara Silvio ed il suo illuminato Governo per il 2020. Fa così schifo, nonostante il sorriso della ministra Meloni, che c’è a sperare che i Maya sul 2012 ci abbian preso.

http://ilnuovomondodigalatea.wordpress.com/2010/03/30/figlie-e-nuore-il-luminoso-futuro-delle-donne-e-della-societa-tutta-nei-piani-di-silvio/

Family Planning Advice



Visto su Huffington Post.

Le emozioni, la ragione e la realtà

L'editoriale del direttore su La Stampa del 31 marzo 2010


MARIO CALABRESI

La distanza tra la parte razionale e quella emotiva del cervello certi giorni appare immensa e insormontabile. Soprattutto se una parte dei cittadini, dei giornalisti e dei politici usa soltanto la prima e una parte consistente degli elettori invece va alle urne guidata dalla seconda.

Ieri mattina le analisi del voto e del successo della Lega, che in cinque anni ha raddoppiato i suoi consensi, parlavano di federalismo, di protesta e di voglia di rottura. Le motivazioni di chi ha scelto il partito di Umberto Bossi appaiono invece completamente diverse e si richiudevano in tre parole: serenità, normalità, sicurezza.

Questa distanza di percezione e interpretazione ci racconta che anche in Italia politici e analisti fanno riferimento solo ad una parte della nostra mente, quella più fredda, razionale e calcolatrice, cadendo così in errore e restando spiazzati di fronte ai risultati elettorali. Prima delle ultime presidenziali americane, Drew Westen, noto professore di psicologia e consulente politico, lo ha spiegato in un libro di successo. I conservatori, sostiene, sanno fin dai tempi di Nixon e poi di Reagan che la politica è soprattutto una «questione di racconto».

I progressisti, aggiunge Westen, hanno perso elezioni a ripetizione concentrandosi solo su questioni astratte e razionali, che non chiamano mai in causa cuore e pancia. Un candidato emergente di nome Barack Obama ha preso appunti e mettendo a frutto la lezione di Westen è riuscito a trasformare le tematiche più «cerebrali» in una «narrativa» capace di coinvolgere i suoi concittadini. E ha vinto.

I leader della Lega probabilmente non conoscono il professore americano, ma istintivamente ne hanno messo in pratica gli insegnamenti, mentre gli esponenti del centrosinistra, pur guardando ad Obama come a un esempio mitico, ripetono regolarmente gli errori storici dei democratici americani.

Il successo della Lega non penso sia figlio delle battaglie sul federalismo, o almeno non in modo preponderante in questa fase, ma nasce dalla voglia di dare il consenso a una formazione politica che viene vissuta come più prossima, più vicina e che parla un linguaggio di certo assai semplificato ma diretto e comprensibile. Difficile ignorare che i toni e le battaglie contro gli immigrati e l’integrazione hanno creato apprensioni e disagio in molti, così come appare irritante una semplificazione della realtà che tende ad identificare il diverso come ostile, ma leggere la vittoria di Bossi come uno scivolamento del Paese nel razzismo sarebbe ingannevole e non spiegherebbe cosa è successo.

La risposta alle politiche leghiste non può ridursi alla demonizzazione e a un nuovo allarme per la calata dei barbari, ma dovrebbe partire da un impegno reale sul territorio. La sede della Lega a Torino, il luogo dove è stata festeggiata la conquista del Piemonte, si trova a Barriera di Milano, in una delle periferie più difficili della città e gli arredi si limitano a foto di militanti sui muri e ad una serie di sedie di plastica verde. La piccola carovana leghista che dopo le due del mattino si è spostata in una deserta piazza Castello, per festeggiare la presa del potere, appariva fuori posto nel centro della città sabauda. Ma questa è sembrata essere la sua forza.

La prima volta che ho incontrato Roberto Cota gli ho chiesto di spiegarmi quali erano le prospettive politiche della Lega in Piemonte e lui mi ha risposto parlandomi per un quarto d’ora sui danni della grandine. Mi sembrava un marziano, ma i risultati della Lega nelle campagne del Cuneese come in quelle del Veneto ci dicono che anche lì c’era uno spazio vuoto che da tempo aspettava di essere riempito.

La teoria del cervello emotivo calza alla perfezione anche con Berlusconi: dopo un anno di scandali, feste dei diciott’anni, escort, processi, leggi ad personam, scontri sulla televisione, è riuscito a tenere in piedi la sua maggioranza e a portarla ad un’altra vittoria. Ha visto un calo dei suoi voti, ma la politica di alleanze che ha messo in piedi 16 anni fa - con la Lega al Nord, con gli eredi della Dc e dell’Msi al Sud - ancora regge e il suo potere di seduzione non si è esaurito. Non è certo tutto merito suo, ma anche della stanchezza di un elettorato che non vede maggioranze o progetti alternativi capaci di spingere ad un cambio di direzione.

La mancata sconfitta di Berlusconi, date le evidenze degli ultimi dieci mesi, dovrebbe allora farci pensare che quei temi che domenica scorsa Barbara Spinelli ci indicava come cruciali - le regole, la legalità, l’indipendenza dell’informazione e i diritti - siano inutili e non efficaci? Non rispondano a esigenze fondamentali? Nient’affatto, dovrebbero far parte del dna dei giornali, delle forze politiche, dovrebbero essere lo sfondo condiviso di una democrazia e sarebbe troppo pericoloso ignorarli. Ma forse dovremmo convincerci, una volta per tutte, che non possono essere i temi esclusivi di un programma elettorale e che da soli non sono capaci di dare la vittoria. La differenza la fanno la capacità di intercettare i bisogni, i desideri e le paure degli elettori e, facendosene carico, dare risposte concrete in un quadro che abbia come riferimento proprio le regole, la legalità e la separazione dei poteri.

Non si può pensare che una battaglia, per quanto corretta e incisiva, sulle firme, sui timbri o sulle procedure di presentazione delle schede sia capace di invertire il risultato di un’elezione, di rispondere ai bisogni dei cittadini.

L’avanzamento della Lega anche in Emilia e in Toscana ce lo ricorda, così come lo sottolineano gli inaspettati successi delle Liste Grillo. Mercedes Bresso - lo ha candidamente confessato l’altra notte di fronte alle telecamere - non immaginava neppure che potessero conquistare un voto. Non era la sola: i giornalisti al completo (noi compresi) le avevano sottovalutate nella stessa misura.

Ma non sarebbe stato impossibile capirlo: sarebbe bastato leggere con attenzione i giornali che produciamo ogni giorno. Non le pagine politiche ma quelle di società, ambiente e costume, dove parliamo degli italiani che si muovono in bicicletta, che chiedono più piste ciclabili, più verde e aria pulita per i loro figli, che si preoccupano per l’effetto serra, che comprano equo e solidale, che riducono i consumi di carne, fanno attenzione a non sprecare acqua e usano Internet e i social network. Nessuna delle forze politiche tradizionali si è però preoccupata di intercettarli, di dare loro rappresentanza, tranne un comico che, non per caso, è stato premiato.

sabato 27 marzo 2010

Torino dalla finestra


Il mio nome è Simone Comelli. Sono dirigente medico del reparto di Neuroradiologia e Radiologia Interventistica dell’Ospedale San Giovanni Bosco di Torino, nel bel mezzo di quella landa desolata che è oggi il quartiere Barriera di Milano.
Questa che vedete, coi suoi due alberi laggiù, è la finestra da cui guardo fuori più spesso, quando sono di turno. Può essere mattina. Pomeriggio. Notte. Il tempo qui dentro si dilata e si rapprende. E tra un caso e il successivo si trova un po’ di calore. Un po’ di fiducia. Un po’ di concentrazione. E anche qualcosa da mettere sotto i denti. In realtà non so se guardo mai davvero attraverso questa finestra.
Non mi sembra mai di guardare con attenzione i profili un po’ scoloriti di quest’ala dell’ospedale. O il selciato dove più persone hanno trovato la fine dei loro patimenti. Non so nemmeno se invidio o scruto con interesse i colleghi che si concedono una pausa fumando una frettolosa sigaretta prima di rientrare al lavoro. Forse davanti a questa finestra aspetto di trovare me stesso. Aspetto di parlarmi come non faccio da tempo. Aspetto di capire me e tutto quello che fa del mio lavoro una routine, seppure socialmente utile.
Proprio qui dentro, tra passato e futuro, mi sfugge il mio presente.

(giuseppe Culicchia)


http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplrubriche/unannoallafinestra/girata.asp?art=11

giovedì 25 marzo 2010

Molto imbarazzante

Che potrebbe essere una frase che ho sentito migliaia di volte, in questi mesi. E potrebbe essere una frase che gli altri hanno milioni di volte sentito da me. Ma nè io nè gli altri l’abbiamo mai pronunciata, e quindi mai sentita, perchè se la situazione è imbarazzante, baby, allora è imbarazzante anche render noto l’imbarazzo.

La situazione è imbarazzante, e ci sono molti motivi che la rendono imbarazzante.

Tipo che hai smesso di amare il suo odore. E’ imbarazzante ammetterlo.

Oppure la situazione è imbarazzante quando stai pensando una cosa ma ne dici un’altra, e ti ritrovi a parlare di cose per cui tu stessa non hai il minimo interesse. E’ una specie di loop, e spezzare la catena è impossibile quando gli anelli sono tanti e infilati uno dietro l’altro.

E’ imbarazzante quando la verità è visibile a tutti, ma si nega l’evidenza fino a negare che esiste la negazione stessa. Negare per annullare, come una catarsi esistenziale che rinnova le cose e le persone, gli eventi, che rinnova il tempo e lo spazio. Ma è tutto nella tua testa, la realtà non si può cambiare, la verità non è un fatto personale. La dimensione onirica sì. E’ imbarazzante.

Ascolta, baby, la situazione è imbarazzante. Cioè, non so come dirtelo e quindi non te lo dico. E’ più imbarazzante ammettere le mie debolezze che sparire. Eh sì, baby, la situazione è assai imbarazzante. Così imbarazzante, baby.

Tipo due stanno bene insieme, ma fa imbarazzo dirselo.

Oppure due non vogliono più stare insieme, e quanto imbarazzante è ammetterlo?

O ancora, due vogliono stare insieme ma non possono, è imbarazzante dire che non si può, così viene tirato in ballo il caso, la sorte, le sorti; “non sono io, è il fato”. Il fato è imbarazzante.

Non rispondo al decimo messaggio. Non è imbarazzante, baby, continuare ad inviare messaggi senza risposta?

Ti mando il decimo messaggio senza nessuna tua risposta. E’ molto imbarazzante. La dignità è sottoterra, è imbarazzante il modo in cui se ne sta supina ricoperta di terra e sassi. Molto imbarazzante.

Io sono una che si imbarazza.

Io sono una che mette in imbarazzo.

In spagnolo embarazada significa “incinta”. Questo spiega molte cose.

Significa che, nello stomaco, c’è sempre un mostro da sopportare, col quale convivere, una paura che attende alle soglie della vita attendendo di essere partorita, vomitata. Imbarazzante, baby, molto imbarazzante.



http://melissapanarello.wordpress.com/2008/12/13/ascolta-baby-la-situazione-e-imbarazzante/

Remember, girls

Non esiste modo alcuno per far eccitare un uomo. nessuno. zero. non esiste proprio.

o piacete o non piacete.

se piacete lo eccitate.

se non piacete potete fare e provare di tutto, essere chi non siete, ridere anche quando non vorreste, vestirvi come moira orfei o stare in equilibrio sui trampoli, ma niente lo farà eccitare. nulla.

è così.

è orribile, ma è così.

significa che noi proprietarie di fica non abbiamo alcun potere.

significa che è così e così ci deve star bene.


http://melissapanarello.wordpress.com/

Istantanee dalla scuola

DAl bellissimo blog di Lia:
http://www.ilcircolo.net/lia/



Istantanee dalla scuola
11 marzo 2010 – 22:23


La collega prepara il compito in classe per la IVD. Mette giù le domande, stampa il quizzone e trotterella fiduciosa verso la portineria, dove c’è il modulo da compilare per richiedere le fotocopie.

“Mi servono per martedì, 30 copie. I ragazzi sono 30.”

La bidella la guarda: “Prof, ma non ha saputo che adesso dovete procurarvi voi la carta?”

“Eh?”

“Ma sì, prof. Non è stato comunicato ufficialmente ma ormai i suoi colleghi lo sanno, lasciano i fogli allegati alla domanda.”

“Mi sta dicendo che io devo comprare, a spese mie, i fogli per fotocopiare i compiti in classe?”

“Ma lo fanno tutti, prof…”

La collega gronda ghiaccioli dalla voce: “I compiti in classe sono un obbligo di legge. La scuola deve mettermi in condizione di farli. Io non compro nessun foglio: chiamo i giornali, piuttosto.”

“Prof, aspetti che le chiamo al telefono l’addetta alle fotocopie.”

Le passano l’addetta che, stupita di fronte a una docente tanto recalcitrante, le fa notare: “Ma lo fanno tutti i suoi colleghi, anche la prof Tizia, pure la prof Caia…”

“Sì? E io chiamo i giornali, invece.”

Alla fine gliele hanno fatte, le fotocopie. Trenta, per trenta verifiche.

E pensava, la collega, che i prof che si comprano la carta per le verifiche a spese loro sono dei gran complici di questo sfascio.

Invece di andare in piazza e fermare il traffico. Invece di rifiutarsi di fare le verifiche, se non ci danno la carta su cui farle. Invece di raccontarlo al mondo, quello che ci sta succedendo.

No. Loro aprono la borsa e comprano i fogli di carta allo Stato.

E dire che saremmo degli educatori. A me viene da pensare, più che altro, a certe eterne figure di Madri Sofferenti che tirano su figli capaci solo di sputargli in faccia. Non a caso, a noi sputa in faccia l’Italia intera, dal ministero in giù, mentre andiamo a comprare i fogli di carta.

Big Kahuna. Il monologo

Goditi potere e bellezza della tua gioventù. Non ci pensare.
Il potere di bellezza e gioventù lo capirai solo una volta appassite.
Ma credimi tra vent'anni guarderai quelle tue vecchie foto.
E in un modo che non puoi immaginare adesso.

Quante possibilità avevi di fronte
e che aspetto magnifico avevi!
Non eri per niente grasso come ti sembrava.

Non preoccuparti del futuro.
Oppure preoccupati ma sapendo che questo ti aiuta quanto masticare un chewing-gum per risolvere un'equazione algebrica.

I veri problemi della vita saranno sicuramente cose che non ti erano mai passate per la mente, di quelle che ti pigliano di sorpresa alle quattro di un pigro martedì pomeriggio.

Fa' una cosa ogni giorno che sei spaventato: canta!

Non essere crudele col cuore degli altri.
Non tollerare la gente che è crudele col tuo.

Lavati i denti.

Non perdere tempo con l'invidia: a volte sei in testa, a volte resti indietro.
La corsa è lunga e, alla fine, è solo con te stesso.

Ricorda i complimenti che ricevi, scordati gli insulti.
Se ci riesci veramente, dimmi come si fa...

Conserva tutte le vecchie lettere d'amore,
butta i vecchi estratti-conto.

Rilassati!

Non sentirti in colpa se non sai cosa vuoi fare della tua vita.
Le persone più interessanti che conosco a ventidue anni non sapevano che fare della loro vita.
I quarantenni più interessanti che conosco ancora non lo sanno.

Prendi molto calcio.

Sii gentile con le tue ginocchia,
quando saranno partite ti mancheranno.

Forse ti sposerai o forse no.
Forse avrai figli o forse no.
Forse divorzierai a quarant'anni.
Forse ballerai con lei al settantacinquesimo anniversario di matrimonio.
Comunque vada, non congratularti troppo con te stesso,
ma non rimproverarti neanche: le tue scelte sono scommesse,
come quelle di chiunque altro.

Goditi il tuo corpo,
usalo in tutti i modi che puoi,
senza paura e senza temere quel che pensa la gente.
E' il più grande strumento che potrai mai avere.

Balla!
Anche se il solo posto che hai per farlo è il tuo soggiorno.

Leggi le istruzioni, anche se poi non le seguirai.
Non leggere le riviste di bellezza:
ti faranno solo sentire orrendo.

Cerca di conoscere i tuoi genitori,
non puoi sapere quando se ne andranno per sempre.
Tratta bene i tuoi fratelli,
sono il miglior legame con il passato
e quelli che più probabilmente avranno cura di te in futuro.

Renditi conto che gli amici vanno e vengono,
ma alcuni, i più preziosi, rimarranno.
Datti da fare per colmare le distanze geografiche e gli stili di vita,
perché più diventi vecchio, più hai bisogno delle persone che conoscevi da giovane.

Vivi a New York per un po', ma lasciala prima che ti indurisca.
Vivi anche in California per un po', ma lasciala prima che ti rammollisca.

Non fare pasticci con i capelli: se no, quando avrai quarant'anni, sembreranno di un ottantacinquenne.

Sii cauto nell'accettare consigli,
ma sii paziente con chi li dispensa.
I consigli sono una forma di nostalgia.
Dispensarli è un modo di ripescare il passato dal dimenticatoio,
ripulirlo, passare la vernice sulle parti più brutte
e riciclarlo per più di quel che valga.

Ma accetta il consiglio... per questa volta.

Il sito del film
http://www.luckyred.it/kahuna/

mercoledì 24 marzo 2010

Amore non dannarmi

Amore non dannarmi
Alda Merini


Amore non dannarmi al mio destino
tienimi aperte tutte le stagioni
fa che il mio grande e tiepido declino
non si addormenti lungo le pulsioni
metti al passivo tutte le passioni
dormi teneramente sul cuscino
dove crescono provvide ambizioni
d'amore e di passione universale,
toglimi tutto e non mi fare male.

Mi alzo e applaudo

L'insulto speculare
di FRANCESCO MERLO


Chi di specchio ferisce di specchio perisce. Un amico che fa il direttore di un grande albergo (non ne farò il nome neppure se torturato) mi ha raccontato di avere visto Berlusconi alle 4 del mattino nel corridoio dell'hotel.Gli si è presentato dinanzi, per uno di quei contrattempi che a volte accadono nel suo mestiere, un vecchietto rotondo e basso, non calvo ma spelacchiato, scolorito e stinto, la pelle tostata e avvizzita... Ebbene, il mio amico lo ha trovato, proprio in quell'occasione, pietosamente umano. Perché la verità, ha aggiunto, non è lo specchio magico che deforma i tratti altrui ed esalta quelli propri, non è devastata dai truccatori, non è di comodo.Ecco: Berlusconi ieri a Torino ha insolentito il governatore Mercedes Bresso, la quale governa bene un pezzo dell'Europa che conta, non solo perché è una signora e non una velina. Contro la Bresso ha evocato lo specchio non solo perché identifica le donne con le mutandine e al pennone della sua bandiera sventola un tanga. Ma perché lui non si specchia mai. Davvero Berlusconi non riuscirebbe a sostenere il giudizio severo dello specchio. Com'è noto, preferisce specchiarsi in Bonaiuti e negli occhi degli amori mercenari che lo esaltano in proporzione alla dazione. Cesare Pavese ha cantata così l'immagine insopportabile che girava nel corridoio di quell'albergo: "Come un vecchio rimorso/ o un vizio assurdo. I tuoi occhi/ saranno una vana parola / un grido taciuto/ un silenzio. Così li vedi ogni mattina/ quando su te solo ti pieghi / nello specchio...".Insomma non c'è soltanto l'idea fissa del satiro senile nella seguente volgarità sputata contro il governatore del Piemonte: "Cosa fa la Bresso al mattino? Si guarda allo specchio e cosa vede? Vede la Bresso e si è già rovinata la giornata". Dire che la Bresso non è una cubista e non è una escort è infatti una ovvietà. Ma solo Berlusconi ne deduce che la Bresso non piace a se stessa. E ha cercato di convincere i piemontesi a non votarla perché non scodinzola e non miagola davanti allo specchio. Lui non sosterrebbe mai una signora sobria, discreta e responsabile che ragiona con la testa e non con la guepiere.
OAS_RICH('Middle');
Ma il vero dramma non si coglie in superficie. Berlusconi crede che lo specchio sia un suo alleato, un suo ministro, un La Russa o un Gasparri. Pensa di essere bello, intelligente, alto e biondo proprio perché evita lo specchio vero. Non capisce che la gente normale non colleziona specchi e la mattina, alzandosi alla guerra con il mondo, non corre a cercare uno specchio ma si ritrova e si perde nei problemi di ogni giorno: gli stipendi, l'affitto, i figli a scuola, la pensione, il lavoro e ovviamente, se è italiano, la sventura di avere Berlusconi.Alla fine, dietro la scemenza sullo specchio, che Berlusconi peraltro aveva già recitato, non c'è la Bresso e non c'è neppure la campagna elettorale che invece c'è negli immancabili insulti ai giudici e, questa volta, anche ai colleghi della Stampa di Torino. C'è, invece, nel Berlusconi che si arrampica e scivola nello specchio, un disperato e malcelato bisogno di fissità. C'è la paura di incontrare se stesso nel corridoio di un albergo, di vedersi, appunto, allo specchio che è un tribunale senza Ghedini. È questo l'epilogo del Berlusconi che si sta disfacendo: dopo avere in ogni modo truccato se stesso, adesso - al mattino a mezzogiorno e a sera - trucca gli specchi, lucida la superficie convessa dei suoi Minzolini.

© Riproduzione riservata (24 marzo 2010)

Ancora sulla morte della dialettica

http://minimaetmoralia.minimumfax.com/2010/03/24/busi-conto-il-neo-analfabetismo/#more-2089

Questa sera andrà in onda su Rai Due la quinta puntata dell’«Isola dei Famosi», la prima senza Aldo Busi, neanche in studio, a meno di un’indulgenza plenaria emersa all’ultimo momento dalle acquasantiere della Rai.Come è noto, nei giorni scorsi la tv di stato ha disposto – unendo destra e sinistra nell’unica perversione incoraggiata bipartisan, e cioè l’incesto tra potere e ipocrisia – di bandire da ogni trasmissione delle proprie reti l’autore di Seminario sulla gioventù e di quell’altra trentina di libri che dovrebbero al contrario rappresentare un salvacondotto privilegiato per l’accesso al dibattito pubblico. Ma a ben vedere, la presenza di Busi al reality (il cui vertice sta proprio nella sparata in cui la cecità dei censori ha visto offese al papa e al presidente del consiglio) è stata una cartina di tornasole capace di rivelarci a che punto è la notte del vero scontro di civiltà in atto da tre lustri in Italia. Due opposte specie antropologiche si contendono il dominio della penisola. Non cristiani contro mussulmani e non toghe rosse contro partiti dell’amore, ma coloro che affidano i propri argomenti alla corretta articolazione del linguaggio, al sillogismo, persino al paradosso – che del linguaggio è una delle possibili declinazioni – partendo dalla convinzione che un patrimonio condiviso esista (per esempio la voltaireana difesa della libera espressione delle opinioni con cui siamo in disaccordo), e quelli che al contrario usano le parole come altrettante onomatopee dell’anima, e cioè abbandonando nell’indistinto oceano della cieca, bruta e in fin dei conti violenta emozionalità (la propria) quei feti adulti di opinioni che sono gli istinti, e ai quali solo l’incubatrice del linguaggio può sperare di donare l’adultità della vita civile. Si tratta, insomma, degli analfabeti di ritorno. E la presenza di Busi all’«Isola» si può leggere come il seguente esperimento: cosa succede se in una vasca di individui pre- (o post-) linguistici viene immerso il pesce sempre più fuor d’acqua di un alfabeta?Lunedì scorso Giovanni Sartori, partendo dai dati di Tullio De Mauro, ha lanciato l’allarme sulla prima pagina del «Corriere della Sera»: settanta italiani su cento sono analfabeti totali o di ritorno. Si tratta di una minaccia per la democrazia. Come posso partecipare alla vita pubblica se non ho i mezzi per farlo? come faccio a capire se le lusinghe di un governante nascondono la circonvenzione di (me) incapace? come faccio a persuadermi che esercitare diritti e compiere doveri ripaga, sulla lunga distanza, molto più che artigliare un privilegio? E soprattutto: che speranze ho di uscire da questo stato di minorità se sono proprio le istituzioni a incoraggiarlo? E quale istituzione è riconosciuta come tale dagli italiani più di una prima serata su una tv generalista? Ecco. Basta andare su youtube e rivedersi una delle liti tra Busi e gli altri naufraghi consumate nelle scorse settimane. Busi sarà pure indisponente e rompiscatole, ma polemizza con il prossimo cavalcando opinioni che a propria volta cavalcano ragionamenti normalmente (sarebbe bello dire: ovviamente) linguistici. Il che provoca un effetto da incubo: gli altri, semplicemente, non lo capiscono. Attacca Roberto Fiacchini, figlio adottivo di Renato Zero, perché si presenta sull’isola indossando una maglietta con su stampato il faccione del cantante, colpevole secondo Busi di aver tradito la causa degli omosessuali sull’altare della commercializzazione di sé, di cui la maglietta sul cartellone pubblicitario vivente dell’adottato sarebbe tra l’altro una prova? Bene, Fiacchini e gli altri naufraghi non rintuzzano Busi sull’argomento sollevato ma, trasformato nella loro testa il ragionamento in qualcosa di pre-linguistico e nudamente quanto pericolosamente viscerale (si sta criticando un padre al cospetto di figlio, dunque si stanno insultando gli stessi concetti di paternità e amor filiale!), si scagliano su Busi sulla base di una tautologica e indimostrata superiorità dei diritti di sangue (Gott mit us) sollevandosi in un coro indistinto di: «sei matto! sei ignorante! ma che stai a di’! quello è er padre! er padre è er padre e nun lo tocchi!» E ancora… Busi, tra un cazzeggio e l’altro, parla dei libri che ha letto? Ecco un naufrago che, indispettito, gli si fa incontro e, spalleggiato dagli altri, si esprime più o meno in questo modo: «tu te credi d’esse più accurturato de me, ma magari invece sei più ignorante. Per esempio… è vero che io nun so chi è er presidente de la repubblica e der consiglio, ma tu nun sai chi è Totti e come funziona er fuorigioco… come vedi siamo pari», non sospettando che ignorare l’identità di Francesco Totti non crea mutilazioni al nostro status di cittadini di una democrazia a suffragio universale, ma non sapere chi è il Presidente della repubblica o del consiglio invece sì. Stessa cosa, quando, la settimana scorsa, collegato con gli studi di Rai Due, Busi ha annunciato di abbandonare l’isola e ha poi osato criticare la Chiesa e Berlusconi. Bastava osservare la faccia di Simona Ventura mentre Busi esponeva le sue ragioni per comprendere che la conduttrice faticava a capire che cosa stava dicendo lo scrittore (o al massimo fingeva di far fatica, al fine di solidarizzare, anche sul piano fisiognomico, con il presunto analfabetismo del telespettatore medio). Uno dei rimproveri più frequenti della Ventura quando i ragionamenti dello scrittore lambivano le colonne d’Ercole della terza subordinata di fila era infatti: «Aldo, se parli così non ti capiscono!» E quando la conduttrice ha tentato di far tornare lo scrittore sui suoi passi («ripensaci! se te ne vai non potrai più esprimere le tue idee»), all’ovvia risposta di Busi («chi vuole conoscere le mie idee, basta che prenda un mio libro in libreria») ha reagito con uno sguardo smarrito, da cui ne ho tratto che l’unico contesto di confronto ormai possibile è per lei quello sub linguistico della tv generalista.Ma il vero disastro democratico si è avuto il giorno dopo, con la scomunica di Busi disposta dai vertici Rai. Anche qui, tutto è partito non da un ragionamento ma dal terrore istintivo che ogni istituzione del nostro paese prova quando la parola «papa» è pronunciata in un contesto lontano da quello agiografico. Di fatto, si è punito in questo modo un reato d’opinione. Analizzando razionalmente (linguisticamente) l’invettiva di Busi, lo scrittore infatti si è limitato a: 1) muovere a Berlusconi una critica sulle tasse, il che oltre a essere legittimo è ben poco rispetto alle critiche mosse ogni giorno al premier dai suoi detrattori; 2) stigmatizzare l’ostilità verso gli omosessuali più volte dimostrata dalla Chiesa, e dunque l’omofobia che sarebbe difficile dimostrare essere aliena al Vaticano, omofobia che il papa, in quanto capo della Chiesa, non avrebbe contrastato. Omofobia che infine – e qui la coda del ragionamento di Busi deve aver fatto tremare i polsi dei censori – è spesso l’anticamera delle perversioni sessuali.Ora, d’accordo o no che siamo con Busi: che cosa stiamo fronteggiando, se non un’opinione il cui diritto d’espressione dovrebbe essere garantito? E invece (ancora una volta) le istituzioni televisive hanno reagito alle sue parole in modo irrazionale e sub-linguistico. E cioè in modo (aggiungo io, che similmente al Vaticano credo che fede e ragione possano marciare insieme) non così diverso da come il cardinal Bagnasco e il cardinal Bertone, anziché salutare la scoperta (la scoperta, non certo l’esistenza) dei casi di pedofilia esplosi ultimamente in mezzo mondo cattolico come una manna dal cielo e un’occasione di rinnovamento all’interno della Chiesa, hanno preferito agitare l’ipotesi del complotto («qualcuno cerca di minare la fiducia nella Chiesa»), di precisare che i preti pedofili sono una minoranza rispetto a tutti i preti (il che mi sembra ovvio), quando invece la ragione imporrebbe di dire che, se i preti pedofili sono percentualmente più dei pediatri pedofili o degli architetti pedofili, allora si può e si deve evidentemente parlare di un’emergenza pedofilia all’interno della Chiesa, il che non può non scuotere la fiducia dei fedeli.Ma forse il vero reato di Busi (il cui unico peccato è un per me inspiegabile complesso di Elettra che lo porta a invaghirsi di donne dall’esibita virilità come la De Filippi o la Ventura) è stato parlare di politica e religione non da Santoro o nel salotto di Fabio Fazio ma, direttamente, nella fabbrica di circenses e intrattenimento che alimenta – legittimandolo – l’analfabetismo di ritorno dell’italiano medio e normalmente votante, costringendolo alla suddetta condizione di minorità. È questo che il potere oggi non tollera, e ogni italiano che abbia a cuore le conquiste della democrazia da sessant’anni a questa parte dovrebbe esserne scandalizzato.

Non pensare all'elefante

E' un post vecchio di due anni, ma lo riporto perchè per me è da studiare a memoria, e perchè così ho l'occasione di citare l'ottimo blog di Giovanna Cosenza, Dsambiguando:
http://giovannacosenza.wordpress.com/






Qualche mese fa ho letto il libro di George Lakoff Non pensare all’elefante!, tradotto in italiano da Fusi Orari (Internazionale, 2006). Vi si analizzano i valori e l’ideologia di base dei conservatori e progressisti statunitensi, ma soprattutto il linguaggio e le metafore con cui li esprimono. È un lavoro brillante, senza pesantezze né tecnicismi, che ti consiglio di leggere (o rileggere) proprio ora, perché ti aiuta a inquadrare i recenti risultati elettorali.
In particolare, è illuminante per capire le ragioni della sconfitta di Veltroni e della cosiddetta sinistra radicale. E per cercare nuove soluzioni imparando dall’esperienza. Ecco ad esempio cosa Lakoff suggeriva ai progressisti americani dopo le ultime presidenziali.
«I conservatori non devono necessariamente averla vinta su tutto. Ci sono molte cose che i progressisti possono fare. Per esempio, queste undici:
Primo, riconoscere che i conservatori sono stati bravi e i progressisti hanno perso il treno. Non mi riferisco solo al controllo dei media, anche se è tutt’altro che irrilevante. Sono stati bravi a creare dei frame che riflettono la loro visione del mondo. Dobbiamo ammettere il loro successo e il nostro fallimento. [Per capire l'importanza del frame in una contesa elettorale, leggi il libro, Nota di Giò]
Secondo, ricordarsi di “non pensare all’elefante”. Se accettate il loro linguaggio e i loro frame e vi limitate a controbattere, sarete sempre perdenti perché rafforzerete il loro punto di vista.
Terzo, ricordare che la verità da sola non basta a rendere liberi. Dire la verità sul potere non basta. Bisogna presentare la verità in modo incisivo dal proprio punto di vista.
Quarto, parlare sempre dalla propria prospettiva morale. Le politiche progressiste discendono da valori progressisti. Cercate di chiarire quali sono i vostri valori e usate il linguaggio dei valori. Abbandonate il linguaggio dei politicanti.
Quinto, capire da dove vengono i conservatori. Avere chiara in mente l’etica del padre severo e le sue conseguenze [cfr. il libro, nota di Giò]. Sapere contro che cosa si sta combattendo. Essere in grado di spiegare perché credono in quello in cui credono. Cercare di prevedere quello che diranno.
Sesto, ragionare in modo strategico e trasversale sui problemi. Pensare in termini di grandi obiettivi morali, non di programmi fini a se stessi.
Settimo, pensare alle conseguenze delle proposte. Avviare iniziative che provochino effetti domino progressisti.
Ottavo, ricordare che gli elettori votano per la loro identità e per i loro valori, che non coincidono necessariamente con i loro interessi.
Nono, unirsi! E collaborare! [...] Cercate di mettervi al di sopra della vostra modalità di pensiero e di esprimere i valori condivisi da tutti i progressisti.
Decimo, essere attivi, non reattivi. Giocare all’attacco, non in difesa. Cercate di modificare i frame, ogni giorno, su tutti i problemi. Non limitatevi a dire quello che pensate. Usate i vostri frame, non i loro, perché corrispondono ai valori in cui credete.
Undicesimo, parlare alla base progressista in modo tale da attivare il modello del “genitore premuroso” [cfr. il libro] negli elettori indecisi. Non spostarsi a destra. Lo spostamento a destra è pericoloso per due motivi: allontana la base progressista e aiuta i conservatori attivando il loro modello negli elettori indecisi» (G. Lakoff, Non pensare all’elefante!, Fusi Orari, 2006, pp. 56-58).
Mentra la sinistra radicale si è mossa trascurando quasi tutti questi suggerimenti, mi pare che Veltroni abbia cercato di seguirne molti, ma ha scordato il secondo, il quinto e l’ultimo. Dimenticanza che gli è stata fatale.

Gli ex voto nell'era del blog


Un sito bellissimo trovato grazie a Giulia Blasi:

E le opere di Chiara Rapaccini, già sfiorate in passato, ora definitivamente incluse dopo il giro a Roma/Monti:

martedì 23 marzo 2010

MAntellini su Berlusconi e il cancro e Jannacci

http://www.mantellini.it/?p=7803

Sabato scorso Silvio Berlusconi ha pronunciato le parole che potete ascoltare nello spezzone di comizio qui sopra. Si tratta di frasi sconsiderate che nessun politico pronuncerebbe mai, un accostamento agghiacciante, nel tentativo elementare e mercantile di intercettare a qualsiasi costo l’interesse dei cittadini. Una specie di “aboliremo l’ICI all’ennesima potenza, suggerita da un piazzista delle parole o da un ghost writer in crisi etilica. Negli ultimi 50 anni la tempistica della sconfitta del cancro è stata riproposta più e più volte ed i proclami degli esperti cominciavano sempre con frasi del tipo: “Mi auguro che nel giro dei prossimi 10 anni…”. Puntualmente simili previsioni si sono rivelate sbagliate. Nonostante gli sforzi mondiali, nonostante i miglioramenti registrati. Mai la politica aveva ritenuto di farsi carico di un peso simile, sempre che simili farneticazioni possano in qualche maniera essere ricondotte ad atti politici. L’ideazione senile di Berlusconi sfugge ad ogni complessità: tutto è possibile, ogni traguardo è a portata di mano, l’ottimismo è il motore del mondo. Come diceva brutalmente Jannacci nei suoi concerti qualche decennio fa ci sono quelli che pensano che con una bella dormita passi tutto, anche il cancro. Io per la serata di oggi avrei progetti meno impegnativi: mi accontenterei che con una bella dormita passasse Berlusconi. Nel senso che se ne andasse, definitivamente, e non mi costringesse ancora ad ascoltare frasi del genere. Sono ottimista, in fondo.

DA tenere d'occhio

Teresa Vergalli, ragazza stupenda:

http://teresavergalli.wordpress.com/

lunedì 22 marzo 2010

Amore fede ricaduta


La letteratura non salva, mai.

Tantomeno l'innocente.

L'unica cosa che salva è l'AMORE fede e la ricaduta (che è come il temporale) della Grazia.


(le ultime parole scritte da Tondelli con mano evidentemente tremante di notte in ospedale nel retro della propria copia di Traduzione della prima lettera ai Corinti di Giovanni Testori)



Abbastanza figa.

A me Berlusconi il messaggino per invitarmi alla manifestazione di Roma non l’ha mandato.
Comincio a sospettare di non essere più abbastanza figa.





Molto bello, il blog di Galatea.

lunedì 15 marzo 2010

Comunicare

Se la persona che mi trovo di fronte è perfetta, dorata, tirata a lucido, con un’immagine che non fa una crepa, io, che perfetto non sono, non riuscirò mai a mettermi in contatto con questa. L’Altro/a mi sembrerà sempre superiore, al di là del mio livello (purtroppo, questo è il cardine della Società dello Spettacolo in cui viviamo). Ma se io percepisco una mancanza, un’incrinatura nell’immagine dell’Altro/a – magari una mancanza e un’incrinatura vicinissima a quelle che possiedo – la comunicazione può accendersi. La comunicazione, in fondo, è condividere le ferite, riparare le incrinature, colmare le mancanze, cucire le rotture, medicare gli squarci, toccarsi lì dove è possibile soccombere.

Diceva, a proposito, Bataille: «Un uomo, una donna, attratti l’uno verso l’altra, si uniscono nella lussuria. La comunicazione che li confonde insieme dipende dalla nudità delle loro ferite. Il loro amore rivela che essi non vedono, l’uno nell’altro, il loro essere, ma la loro ferita, e il bisogno di perdersi. Non v’è desiderio più grande di quello del ferito per un’altra ferita».


http://minimaetmoralia.minimumfax.com/2010/03/14/l%e2%80%99isola-il-cinema-polveriera-di-kim-ki-duk/#more-2001

Macerie

Michele Serra
LaRepubblica 14 marzo 2010


Ma quale sarebbe il reato?, chiedono in coro il premier e i suoi molteplici coristi. Questa volta hanno ragione. Non è per niente facile, in termini giuridici, definire l’operato del padrone di un Paese che fa telefonate da padrone, sistema i suoi uomini d´azienda nello Stato, nelle autorità di garanzia, negli organismi di controllo, nomina i dirigenti dell´’zienda concorrente, cerca di chiudere la bocca ai nemici e moltiplica potere e stipendi degli amici. Forse, a ripensarci bene, e a rileggere (per esempio) la storia di Giancarlo Innocenzi, che di mestiere fa l’arbitro per conto di noi tutti e nei fatti è un dipendente di Berlusconi (esattamente come se i guardialinee delle partite del Milan fossero nominati dalla società rossonera), forse, dicevo, il reato è di omesso controllo, ed è a carico di tutti gli italiani.Scrutiamo il futuro con ansia, chiedendoci che cosa potrà succedere, e non ci rendiamo conto che tutto è già successo. Una democrazia che permette un accumulo di potere così spaventoso è una democrazia che ha già perduto, e da parecchi anni, il rispetto di se stessa. E quando le Procure puntano le loro torce, illuminano macerie.

domenica 14 marzo 2010

Insisti

Se è tardi a trovarmi, insisti, se non ci sono in un posto, cerca in un altro, perché io son fermo da qualche parte ad aspettare te. (W. Whitman, da: Canto di me stesso, in Foglie d'erba)

mercoledì 10 marzo 2010

Viva gli sposi!

Il Washington Post ha pubblicato giorni fa in prima pagina la foto di due bei ragazzotti sorridenti, che si baciano le labbra, delicatamente, fuori dall'aula dove si sono appena legalmente sposati.


I lettori protestano con le solite argomentazioni:I veri uomini sposano le donne. Almeno non metterla in prima, che la vedono i bambini. It is not something that I want coming into my home.

Il direttore risponde, e la risposta è bellissima:
http://voices.washingtonpost.com/ombudsman-log/2010/03/readers_react_to_photo_of_two.html

News photos capture reality. And the prominent display reflects the historic significance of what was occurring. The recent D.C. Council decision to approve same-sex marriage was the culmination of a decades-long gay rights fight for equality. Same-sex marriage is now legal in the District. The photo of Ames and Ariga kissing simply showed joy that would be exhibited by any couple planning to wed – especially a couple who previously had been denied the legal right to marry. There was a time, after court-ordered integration, when readers complained about front-page photos of blacks mixing with whites. Today, photo images of same-sex couples capture the same reality of societal change.

Applausi, applausi, viva gli sposi, GRAZIE DIRETTORE!

lunedì 8 marzo 2010

Il ritorno alla manualità, Rampini e Crawford

Federico Rampini
"Il ritorno alla manualità. Perchè oggi è di moda l'uomo artigiano", laRepubblica 6 marzo 2010

in margine a
"Il lavoro manuale come medicina dell'anima"
di Matthew Crawford, Mondadori Strade Blu 2010

'Oggi invece è il sistema di formazione dei futuri colletti bianchi a rivelarsi superficiale, vacuo, ipocrita. E non solo per il lavoro d'ufficio più dequalificato e massificato. Anche attività di prestigio come il trading di Wall Street sono messe a nudo, rivelano la loro essenza parassitaria: "Metalavori prodoti col sovrappiù scremato dai lavori altrui".
In quei non-mestieri per farsi strada sono richieste delle doti che sono state variamente definite "flessibilità, polivalenza, adattabilità" ma che spesso mascherano comportamenti distruttivi: dei mix ambivalenti di opportunismo e cinismo, aggressività e spirito gregario. Dedicarsi a un lavoro manuale invece significa scoprire finalmente dei criteri di valutazione oggettivi, misurabili, concreti. Si torna ad essere parte di una comunità di utilizzatori, in cui i rapporti personali hanno un senso. Abbiamo tutti conosciuto almeno un artigiano interessante, con cui si ha voglia di passare ore a parlare del suo lavoro L'agire manuale di cui si riappropria il filosofo americano è un antidoto per certe malattie dell'anima: il narcisismo della società dello spettacolo; il delirio di onnipotenza da Superuomo.'

Forma e Sostanza

"Ammetta almeno che l'avete fatta fuori dal vaso!"
"Fuori o dentro è questione di forma: quel che conta è la sostanza."


(Altan, laRepubblica 6 marzo 2010)

Conosco le abitudini so i prezzi
E non voglio comperare né essere comprato
Attratto fortemente attratto
Civilizzato sì civilizzato
Comodo ma come dire poca soddisfazione
Comodo ma come dire poca soddisfazione
Soddisfazione Signore
Conosco le abitudini so i prezzi
E non voglio comperare né essere comprato
Attratto fortemente attratto
Civilizzato sì civilizzato
Uno sguardo più puro sul mondo che
la civiltà è ora, pagando
Decidi: cosa come quando
Comodo ma come dire poca soddisfazione
Comodo ma come dire poca soddisfazione
Soddisfazione Signore
Voglio ciò che mi spetta lo voglio perché mio m'aspetta
Voglio ciò che mi spetta lo voglio perché mio m'aspetta
Ventiquattromilapensierialsecondofluisconoinarrestabili
Alimentando voglie e necessità
Voglio ciò che mi spetta lo voglio perché mio m'aspetta
Voglio ciò che mi spetta lo voglio perché mio m'aspetta

domenica 7 marzo 2010

In margine/ Artigianato e Lavoro

Qui sotto allego l'articolo pubblicato ieri da La Repubblica, pagina 51, insieme ad un altro altrettanto interessante di Rampini.
Però non sono d'accordo con il titolo: Sennett non dice questo.




“L´orgoglio di un lavoro ben fatto può valere più del salario”, di Richard Sennett

Il riconoscimento delle capacità e delle competenze è fondamentale perché le persone possano ritrovare il rispetto di sé e degli altri, un sentimento che tende a scomparire. Il vecchio capitalismo burocratico funzionava sul modello delle forze armate, con organizzazioni piramidali e gerarchie molto rigide. Dopo il 1968 il capitalismo è cambiato e le organizzazioni si sono trasformate per diventare più fluide, più instabili, più a breve termine. Non era esattamente ciò che avevano auspicato coloro che manifestarono negli anni Sessanta, ma questo ne è stato in ogni caso l´esito, che ha disinnescato una parte delle contestazioni, nello specifico a sinistra. Però questo nuovo capitalismo – come ha dimostrato la crisi – non pone meno problemi del modello precedente, contro il quale la mia generazione si era ribellata.Questo capitalismo fluido ha portato allo sviluppo di un modo di lavorare senza tener conto della qualità. La carriera è scomparsa, sostituita da una traiettoria evanescente, frammentaria, che rende difficile per i dipendenti definire con precisione la propria identità. Diventa oltretutto sempre più complicato descrivere la propria professione. La scomparsa del concetto di formazione a lungo termine e di sviluppo dei talenti ne è un ottimo esempio. Per comprenderlo è sufficiente osservare con attenzione la crisi dell´industria dell´automobile negli Stati Uniti: si tratta di un settore nel quale gli operai hanno accumulato col passare degli anni grandi competenze. Ebbene: ci sono state moltissime discussioni politiche per comprendere in che modo salvare le aziende automobilistiche o a chi venderle, ma si è indagato pochissimo per capire in che modo utilizzare questi talenti, come valorizzare le competenze acquisite nelle altre sfere. L´idea dominante in rapporto agli operai è stata: tocca a loro togliersi dai pasticci, a costo di ripartire da zero. Il valore del lavoro in sé è scomparso, a vantaggio di un interesse esclusivo per ciò che quel lavoro può far guadagnare immediatamente. Per i lavoratori stipendiati, è estremamente destabilizzante, ma in definitiva lo è anche per le aziende stesse.Tutto ciò ha comportato rilevanti effetti psicologici. Coloro che hanno un posto di lavoro sono spesso messi di fronte a una perdita di significato, che conduce al disimpegno, al disinvestimento. Per coloro che invece hanno perduto il posto di lavoro, le conseguenze sociali e personali sono tanto più importanti se nella costruzione della loro identità quel posto di lavoro così fragile è diventato ancora più centrale e cruciale rispetto a prima.Ho condotto uno studio sui lavoratori di Wall Street che hanno perso il proprio posto di lavoro durante la crisi: la loro autostima ne è uscita gravemente danneggiata, e questo provoca serie difficoltà, quali depressione e divorzi. Le persone coinvolte hanno l´impressione di non essere state all´altezza, mentre di fatto sono state travolte da un evento ben più grande di loro. Molti cercano di consolarsi pensando che con la ripresa si potrà ripartire come prima. Questa ripresa, però, non creerà molti posti di lavoro e il disagio rischia di diventare permanente. Come uscire da questa situazione? Ovviamente ripristinare il vecchio capitalismo burocratico non è la soluzione giusta. La sfida consiste nell´arrivare a mettere in atto un sistema che permetta all´individuo di definirsi attraverso le proprie evoluzioni professionali, in una società nella quale le competenze hanno la tendenza a diventare obsolete assai rapidamente. Occorre aiutare l´individuo a ritrovare il rispetto di sé e degli altri, quel sentimento che è scomparso e che per altro le politiche pubbliche fondate sulla compassione e sull´assistenza non sono riuscite a ristabilire. Ciò passa in particolare attraverso il riconoscimento del lavoro ben fatto.Una delle soluzioni possibili potrebbe essere la riabilitazione del concetto di mestiere, sul principio dell´artigianato: valorizzare il significato del lavoro, piuttosto che la remunerazione che ci si può attendere da esso. Riabilitare il concetto di lavoro ben svolto per il semplice piacere di svolgerlo bene, indipendentemente dal concetto di performance o di retribuzione. Soltanto questo impegno disinteressato dà un significato alla vita. L´orgoglio per il lavoro eseguito permette inoltre di tessere all´interno dell´azienda dei rapporti sociali durevoli. E ciò è tanto più necessario se si considera che si lavora sempre più a lungo e si ha sempre meno tempo per allacciare rapporti disinteressati, dentro e fuori l´ambito lavorativo.

sabato 6 marzo 2010

Chiusura del cerchio

http://www.youtube.com/watch?v=zP-QwiBC1hw


Ho visto con i miei occhi Gigi D'alessio cantare Don RAffaè di De Andrè.
Con tutte le mossette, giuro.


Ieir sera, su RaiUno.


venerdì 5 marzo 2010

La mamma e la pizza

-E Virzì?
"Ah! Mi sono commosso, divertito, c'era la mamma, c'erano tutti i miei argomenti preferiti, poi sono uscito per mangiare una pizza e dopo un quarto d'ora m'importava solo della pizza."
Paolo Sorrentino intervistato da Gabriele Romagnoli, Vanity Fair nr. 9/2010

mercoledì 3 marzo 2010

Chiaro semplice Sofri Giovane

http://www.wittgenstein.it/2010/03/03/daccordo-con-schifani/


D’accordo con Schifani

Schifani: “La sostanza prevalga sulla forma”.

Bene. La sostanza è che sono una manica di cialtroni. La sostanza è che il partito di maggioranza relativa e di governo non è in grado di dedicarsi con efficienza e attenzione nemmeno alle più elementari e semplici regole di funzionamento della democrazia e di se stesso, la sostanza è che la sproporzione tra le sue forze e i suoi risultati è imbarazzante su ogni scala. E questa sostanza bisogna che prevalga, ha ragione Schifani, per il bene di tutti, PdL compreso, e cominci a contare. Magari imparano qualcosa, e sarebbe meglio per tutti.

3 marzo 2010

Basta fatti, vogliamo promesse

L'editoriale di Mario Calabresi su La Stampa di oggi:

Dove sono finite le idee, i progetti, i programmi, i sogni o anche le affabulazioni che la politica dispensava a piene mani prima di ogni elezione? Scomparse. Inghiottite da un malessere diffuso, da una cupezza che sembra aver coperto tutto. Le giornate sono scandite dagli scandali, dalle risse intestine e dalla sciatteria. La campagna elettorale esprime pochissima passione e nessuna energia, prigioniera della stanchezza e del risentimento.Il fallimento della macchina organizzativa del primo partito italiano, incapace di presentare in Lombardia e nel Lazio liste rispettose dei regolamenti, racconta molto dei tempi che stiamo vivendo. Ci racconta come anche nelle incombenze più semplici e ordinarie sia venuta meno la capacità di fare le cose per bene, con rigore e attenzione. Il peggiore dei contrappassi per una forza che era nata promettendo la politica del fare e il trasferimento nella sfera pubblica dello spirito imprenditoriale. Viene da chiedersi dove sia la testa dei nostri politici e che cosa li distragga. Sembrano essere concentrati in lotte fratricide, intenti a controllarsi e a cercare di piazzare una pedina fondamentale in vista di una resa dei conti che però non pare imminente. A livello locale si assiste a uno spettacolo ancora più squallido con le seconde file impegnate a strappare qualche posizione nelle liste o a rinfacciarsi la paternità di un candidato impresentabile.È difficile immaginare che questa trascuratezza, questi veleni e questo pressappochismo possano poi trasformarsi in illuminata capacità di governo. La politica oggi sembra tornata sideralmente lontana dai problemi reali e chiedere conto dei programmi sulla sanità, le tasse o la sicurezza appare quasi naïf. La sciatteria è figlia anche dell’arroganza e del disinteresse, due sentimenti che connotano chi si sente troppo forte, intoccabile, senza opposizione e senza alternativa. Non è un caso che gli incidenti delle liste siano accaduti in due regioni che il centrodestra considerava già vinte e non in discussione. Un eccesso di confidenza che non si è registrato, ad esempio, in Piemonte, dove la partita è aperta e la sfida non consente errori e distrazioni, tanto che, a tratti, si sente anche parlare di politica e di programmi.Anche a livello nazionale si sente la mancanza di un’opposizione che tenga alta la tensione, che spinga chi governa a conquistare consenso ogni giorno invece di perdere tempo a spegnere programmi televisivi e a cercare silenzi complici.Come in ogni fase di sfarinamento e di difficoltà è partito l'esercizio delle previsioni: si scruta Palazzo Chigi per capire se tutto questo sfocerà in una crisi, se una stagione della politica italiana volge al termine. Mi pare un esercizio sterile: oggi non sembra esistere una possibile alternativa di governo pronta e vincente e questa volta non si riesce a vedere chi abbia la forza o la voglia di far cadere il Cavaliere. La Lega - l’unico partito con i numeri per fare la differenza - si è sistemato nella posizione ideale per intercettare gli scontenti e per approfittare della crisi della Seconda Repubblica come fece con quella della Prima. Bossi non ha nessun interesse a cambiare cavallo e precipitare le cose, visto che le disgrazie altrui non fanno che rafforzarlo. Aspetterà il naturale evolversi delle cose, cercando nel frattempo di assicurarsi il controllo del Nord, puntando a governare Veneto e Piemonte.Si dice da mesi che gli ultimi tre anni della legislatura, un periodo insolitamente lungo senza nessun appuntamento elettorale nazionale, potrebbero essere una grande occasione per fare riforme. Ma non si capisce quali e guidate da quale visione. Però non è immaginabile pensare di vivere 36 mesi in cui la politica si prepara soltanto ad un ipotetico dopo-Berlusconi.L’unica certezza è che avremmo bisogno di molto più dibattito, di proposte, idee e parole e di molti meno silenzi. Non è blindando tutto che si riconquista la fiducia degli elettori, una fiducia che sta scendendo ai livelli più bassi: i cittadini sembrano aspettarsi qualunque cosa o forse sarebbe meglio dire che non si aspettano più niente dalla politica. E questa è la cosa che allarma di più. Viene da rimpiangere quell’ironica richiesta scritta con la vernice pochi anni fa su un muro di Brescia: «Basta con i fatti, vogliamo promesse».




http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=7049&ID_sezione=&sezione=

La Democrazia come la verginità negli anni settanta

http://www.renatapolverini.it/2010/02/28/non-cancelleranno-la-democrazia/

Ricopio un commento al post:

Florindo scrive:
2 marzo 2010 alle 16:42

Ieri sera, dal palco di piazza San Lorenzo in Lucina, una donna (presumo sia un membro del comitato elettorale di Renata Polverini) ha pronunciato la seguente frase: “Siamo stufi di queste minoranze che ci vogliono imporre le loro regole!”. Renata Polverini, pur presente, non ha avuto nulla da ridire, mentre il pubblico ha esultato e applaudito. È evidente che quelle “loro regole” non siano altro che LE REGOLE, attraverso le quali noi tutti, ancora prima di dividerci in maggioranze e minoranze, riconoscendoci pari doveri e diritti, autoregoliamo i nostri comportamenti. Quella frase non è solo un affronto ai principi della democrazia e allo stato di diritto, ma è anche totalmente illogica. Ho avuto l’impressione che la persona in questione stesse per dire qualcosa di più coerente e logico, ossia ciò che realmente pensava, ossia: “Siamo stufi di queste minoranze che ci vogliono imporre le regole!”. Forse era a questo concetto che i presenti (con il beneplacito di Renata Polverini) hanno ritenuto di applaudire?

Petrolio Mattei Dell'Utri Cefis Ho Male A Leggere

Dario Olivero
Repubblica 2 marzo 2010

http://olivero.blogautore.repubblica.it/2010/03/02/dellutri-pasolini-e-il-giallo-di-petrolio/

Una premessa. Marcello Dell’Utri ha fama di bibliofilo e collezionista, ma già una volta è inciampato nel suo entusiasmo. Tre anni fa annunciò di possedere i diari originali di Benito Mussolini e si lasciò andare a una ricostruzione della personalità del Duce rivisitata attraverso quei documenti. Ma, come dimostrò L’Espresso, al quale quegli stessi diari furono offerti, si trattava di un falso. Ora il senatore del Pdl annuncia di avere tra le mani un foglio inedito di Pier Paolo Pasolini, un dattiloscritto di cui alcuni esperti sospettavano l’esistenza. Di più, un dattiloscritto di Petrolio. Di più, parole di Dell’Utri, un testo “inquietante per l’Eni”.
Passo indietro. Petrolio fu l’ultima ossessione di Pasolini. Lo incominciò nel 1972, non riuscì a finirlo perché morì nel ’75, fu pubblicato postumo nel ’92, ironia della sorte un romanzo sulle stragi nella stagione in cui le stragi in Italia erano riprese. E’ un testo oscuro e vischioso come il suo titolo nonostante l’immenso lavoro editoriale a cui è stato sottoposto. E’ più uno zibaldone di appunti che un romanzo. Ma se la trama non è del tutto chiara, è chiaro invece che cosa doveva diventare.
Quando Pasolini scriveva “Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli. Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi” non rinunciò mai a voler dimostrare che tipo di Paese fosse l’Italia della Guerra fredda. E trovò il filo che teneva insieme la notte della Repubblica perché, diceva, “sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero”. E il filo che trovò non era rosso, ma nero. Come le stragi di Stato, la strategia della tensione e, appunto, il petrolio. Cioè l’Eni, cioè la morte di Mattei, cioè Cefis, cioè la Montedison, cioè quell’Italia raccontata anche da Eugenio Scalfari e Giuseppe Turani in Razza padrona.
Questo doveva essere Petrolio: un racconto di duemila pagine (ne sono rimaste cinqucento) sull’Italia che affondava scritto in un delirio narrativo e poetico dai toni a volte gotici, a volte grotteschi, a volte semplicemente crudeli che poi era il modo in cui Pasolini parlava del male dai tempi di Salò. E a proposito del film, altra ricorrenza inquietante. Anche in quel caso l’attore Sergio Citti disse che alcune bobine di pellicola erano sparite.
Torniamo a Dell’Utri che dice di aver letto il dattiloscritto, ma di non poterne parlare. “È uno scritto inquietante per l’Eni, parla di temi e problemi dell’Eni, parla di Cefis, di Mattei e si lega alla storia del nostro Paese e di Mattei”. E ha definito un “giallo” la scomparsa del dattiloscritto. “Credo – ha aggiunto – che sia stato rubato dallo studio di Pasolini”.
Parole che hanno subito acceso la reazione di Gianni D’Elia che in L’eresia di Pasolini ma soprattutto in Il petrolio delle stragi, ha sostenuto la teoria che Pasolini non morì per una notte da ragazzi di vita finita in tragedia, ma fu assassinato da chi non poteva tollerare che continuasse a fare il suo lavoro di intellettuale. “Pazzesco, roba da matti, incredibile – è stata la sua prima reazione all’annuncio di Dell’Utri – Quel capitolo di Petrolio, ritenuto dal giudice Calia, un documento storico sulle stragi d’Italia è stato rubato da casa di Pasolini. In termini giuridici è un corpo di reato. Se è vero, Dell’Utri deve dire come lo ha avuto, chi glielo ha dato, per quali fini”.
E poi: “Ho scritto che c’era una continuità tra il potere proto-piduista di Eugenio Cefis e il potere attuale, ma mai avrei creduto che un’eredità culturale e politica contemplasse anche il ricevere quelle carte, quel capitolo sottratto da casa Pasolini dopo la sua morte e che potrebbe anche averla giustificata, motivata”. “Quindi avevo ragione io quando ho sostenuto che quel capitolo Lampi sull’Eni era stato sottratto. Una delle tante società offshore della Edilnord (proprietà di Silvio Berlusconi ndr) era intestata al padre dell’avvocato Previti e si chiamava, con poca fantasia, Cefinvest. La questione aveva profondamente interessato il dottor Calia che ha dimostrato che la morte di Mattei altro non era che un attentato. Mi chiedo: chi vogliono colpire? Quali traffici ci sono ora con l’Eni. Questa non è una storia che finisce qui”.
Non sarà né l’unica né l’ultima reazione. Attendiamo di conoscere il contenuto del capitolo. Dell’Utri ha detto che lo rivelerà alla fiera del Libro antico di Milano che apre il 12 marzo. Parola di bibliofilo.

martedì 2 marzo 2010

Assioma

La semplicità di un rapporto interpersonale è inversamente proporzionale alla capacità dei soggetti coinvolti di farselo bastare.




Preso da Diventare Ghandi, blog che oggi mi ha fatto piangere.
http://savohead.wordpress.com/

lunedì 1 marzo 2010

Via Lipperini

http://loredanalipperini.blog.kataweb.it/

Venerdì di Repubblica, 26 febbraio 20101

Paola Zanuttini intervista Philip Roth

Per caso, è insoddisfatto anche da Barack Obama? Da un’intervista a un quotidiano italiano, Libero, risulta che lo trova persino antipatico, oltre che inconcludente e assopito nei meccanismi del potere.“Ma io non ho mai detto una cosa del genere. E’ grottesco. Scandaloso. E’ tutto il contrario di quello che penso. Considero Obama fantastico. E trovo che l’attacco che gli stanno sferrando i repubblicani è molto simile a quello subito da Roosevelt al suo primo mandato. E’ la destra più stupida mobilitata da Sarah Palin. Agitano la bufala dell’atto di nascita che dimostrerebbe che è nato in Kenya. E trovano ascolto. Sotto c’è il problema della razza, della pelle. Sono molto seccato per queste dichiarazioni che mi vengono attribuite: non ho mai parlato con questo Libero. Smentisca tutto. Ora chiamo il mio agente”. Chiama il suo agente, che gli filtra tutti i contatti: nell’agenda delle interviste passate e future non risulta nè Libero nè il nome dell’intervistatore. Roth attacca e poi chiede cosa vuol dire Libero in inglese. Traduco. “Vuol dire che questi sono liberi di fare tutto quelli che gli pare?"


Repubblica, cultura, sabato 20 febbraio 2010

Sabato, sull’inserto culturale di Repubblica, c’era un bell’articolo di Giorgio Falco. Nell’ambito di un tema condiviso - in sintesi, la ricerca ossessiva di visibilità - Falco proponeva un corso di fallimento:
“Se dovessi programmare un corso di qualsiasi cosa, metterei nel programma la sezione intitolata: Sistematizzare la naturale propensione al fallimento. Se per esempio vuoi iscriverti a un corso di scrittura, partecipa a un corso base di francese per principianti, uno di quei corsi comunali serali, frequentati soprattutto da donne e uomini tra i quaranta e i cinquant’anni, che sono lì alla ricerca di un risarcimento esistenziale per i torti subiti: un matrimonio finito, un padre leggendario appena morto, il senso di imbarazzo provato l’estate precedente, durante una settimana a Parigi. Queste cose accadono anche in un corso di scrittura, ma se vuoi proprio scrivere, ad esempio, mi pare sempre perfetto l’insegnamento di un grande autore a proposito della formazione di uno scrittore: prima perdi tempo, fai altro”.
Fai altro, non concentrarti su te stesso. Giustissimo.

Appunti per una sitografia

Il blog di Giovanna Cosenza, DISAMBIGUANDO, sempre interessante.
http://giovannacosenza.wordpress.com/

Sangennaroaiutacitu

Quando c'era lui, le liste arrivavano in orario.









Related Posts with Thumbnails