lunedì 25 ottobre 2010

Il lenzuolo bianco



"Oggi si è fatta strada in Italia una strana concezione dell'informazione che si potrebbe sintetizzare in un gesto: quello di sollevare il lenzuolo e spingere tutti a fissare quello che c’è sotto. Molti restano incollati all’immagine terribile, altri sfuggono, alcuni cominciano a provare disgusto". (Mario Calabresi, La Stampa, editoriale del 25 ottobre 2010)

Grazie, Direttore.

giovedì 21 ottobre 2010

Cazzo esulti?



Lei, vista su La Stampa.it oggi, è proprio tanto caruccia, e l'immagine di una madre con il suo piccolo al seno è sempre romantica e tenera.

Ma ditemi cosa c'entra con il miglioramento dei diritti delle madri lavoratrici il portarsi il neonato al lavoro.
Proprio sicuri che sia un DIRITTO per cui esultare?

mercoledì 20 ottobre 2010

La ragione diamo e il vincere ai coglioni, oppure ai bari


Dopati, però.
Tredici è pari, lo diceva già Guccini.

Lettera dal fronte


Oggi una mia amica ha scritto queste parole dal fronte della scuola. Non è una ragazzina alle prime difficoltà professionali, è una prof che insegna da TANTI anni, alle medie alle superiori e anche in un istituto parauniversitario specialistico, con una bella laurea scientifica e la passione che serve e che ci si aspetta da chi ha un ruolo delicato come quello dell'insegnante.
Le ho chiesto il permesso di usare le sue parole qui, non ho cambiato niente se non i riferimenti diretti all'Istituto.
Credo che queste parole in presa diretta siano il manifesto di tante sofferenze, a partire da quella personale, certo, in cui però si vede fin troppo bene lo sfascio della scuola dove vanno o dove andranno i vostri figli, non solo il mio. E il disastro di una società che ritiene normale che esistano professionisti convocati al telefono la mattina alle 7.30, per lavorare oggi qui e domani là, oggi all'Istituto specialistico dove vanno quelli che mi cureranno quando avrò il cancro, e domani alla materna, perchè insegnare è insegnare, è come cantare, se ti viene ti viene, che sia l'Aida o i Ramones, no?

Il fronte non è lontano, è in ogni singola scuola, anche in quella all'angolo della via dove abitate, pensateci, anche se non avete figli e non ne avrete mai.


Non so che cosa mi sia preso.
Questa mattina ore 7.30...telefonata per una supplenza.
Ho avuto una crisi isterica.
Ho rotto un vetro con un cazzotto.
Ho urlato come una matta.
Ho pianto.
Ho buttato giù tutto quello che avevo sotto mano.
Il gatto sotto il letto dalla paura.
Mia figlia in piedi allucinata e piangente.
Mio marito che mi guardava impaurito.
Ne avevo bisogno.
Come sto ora?
Come prima, solo in più con una mano fasciata.
Perchè ho scritto?
Boh. I matti sono matti.

Ieri dopo 15 anni è finita la collaborazione scolastica con l'Istituto Superiore di di YY.
Sto svolgendo gli ultimi esami con i miei ragazzi e domani firmerò gli ultimi diplomi.
Era il mio lavoro personale, era il mio progetto.
Era quella nicchia in cui mi nascondevo quando le cose andavano male.
Ho avuto i miei risultati: i ragazzi che ho formato, ancora adesso mi chiamano.
Ho avuto molte soddisfazioni.
Ho dato il cuore in quella scuola.
E ho dato tanto.
Ma ho ricevuto anche tanto.

Adesso grazie alla riforma Gelmini tutto finisce, finiscono i progetti, sono finiti i soldi e finisce la collaborazione.
Era la mia rivincita professionale.
E anche se la mattina andavo andavo all'esaltante materna comunale a lavorare, a star dietro a 25 bambini urlanti e piangenti, sapevo che poi avevo il mio lavoro.

Son tre anni che bene o male nello schifo di materna dove mi chiamano avevo una classe stabile, comunque una annualità.
Non era il massimo.
Ogni mattina mi alzavo dicendo: é un lavoro.
A casa che faccio.
Anche se non è il massimo ci vado..
E tutto sommato in questi tre anni anche con i gnappetti piccoli le mie soddisfazioni le ho prese. Ho le lettere dei genitori che mi ringraziano, ho i disegni dei bambini.
Insomma anche lì ho dimostrato che posso dare qualche cosa.

Ieri la botta in testa.
Fine della supplenza che avevo preso per un mese.
Fine del lavoro all'Istituto dopo 15 anni.
E si ricomincia a trottare come venti anni fa.
Nulla è cambiato, anzi invece di andare avanti torno idietro.
Tutti i giorni ad aspettare la telefonata.
Scuole diverse.
Bambini diversi.
Mamme diverse.
Colleghe diverse.
Progetti diversi.
Ultima ruota del carro.
Mia figlia sbattuta di qua e di la.
Marito che mi dice che con uno stipendio non si può andare avanti.
Venti anni che faccio questa vita.
Questa mattina ho avuto il panico.
Per di più non ci sarà nemmeno più il concorso quindi tutto questo non servirà nemmeno per una ipotetica assunzione.
Niente annualità.
Lavoro giornaliero alla materna.

Ho dato di matto.

Sono uscite fuori le mie paure.
La mia ineguatezza il mio senso di fallimento su tutto e su tutti.
Insomma sto male.
Non voglio sentire che tutto passa tutto si sistema vedrai che riuscirai.
Ho voglia di urlare al mondo che Marina esiste e si è rotta il cazzo.


Grazie, Marina (anche se non è il tuo nome).
Urlalo anche da qui.
E non pensare mai di essere matta, matti sono quelli che vogliono farci credere che tutto questo possa acacdere in un paese normale, in una scuoal normale, in un posto di lavoro normale.

(L'illustrazione è di Michele Petrucci)

lunedì 18 ottobre 2010

Back from Berlin


Dal sito nuovo nuovo della Topografia del Terrore, il luogo dove Berlino riflette sulla sua storia più violenta, questa foto di un operaio che alle manifestazioni del 1933 ostenta le braccia incrociate mentre tutti intorno a lui salutano con il braccio teso.

Il gesto a volte è tanto.

mercoledì 13 ottobre 2010

Ho visto la Terra partorire Uomini


Di solito la mattina io e mio figlio guardiamo i cartoni animati, ma stamattina no, stamattina c'era un parto in diretta.

Is your soul alive? Then let it feed!
Leave no balconies where you can climb;
Nor milk-white bosoms where you can rest;
Nor golden heads with pillows to share;
Nor wine cups while the wine is sweet;
Nor ecstasies of body or soul,
You will die, no doubt, but die while living
In depths of azure, rapt and mated,
Kissing the queen-bee, Life!

(Edgar Lee Masters, Edmund Pollard in Spoon River Anthology)

Definizione perfetta


Mike Nichols via Guia Soncini sul tradimento:

«Over and over, people tell me things about their mate and I’m always stunned. I think, don’t you know that’s the beginning of separating? That if you tell somebody outside anything at all about the person you love, that it’s the beginning of the end? You can’t. Lots of people don’t know that, so what is betrayal? Is it talking at all to anyone about the person you love? I’d say so.»

Architettura come sogno


La Biblioteca Pubblica di Stoccolma.

lunedì 11 ottobre 2010

Micetti feroci


In questi giorni ho visto uno dei migliori video di Youtube nella mia personale classifica. E' una cosa semplice, niente altro che un lungo montaggio in sequenza di immagini prese da profili di Facebook, foto di persone normalissime che usano per rappresentarsi immagini di teneri gattini, e le foto fatte al matrimonio quando ero truccata così bene, o con gli occhiali da sole che si sa aggiungono mistero, e dei figli e dei fidanzati e delle vacanze, proprio come faccio io.

Solo che insieme a queste immagini scorrono anche le parole che queste persone normalissime che amano i gattini e gli amici e i figli e le vacanze hanno scritto nei loro status tra giovedì e venerdì scorso, quando un fatto di cronaca cattiva ci ha tolto un po' a tutti il respiro.
E sono parole terribili, un ritratto di collettività degradata e disillusa, senza speranza, e feroce.

giovedì 7 ottobre 2010

Che gli Dei siano presenti



C'è una ragazzina di 15 anni con la faccia nell’acqua, giù in un pozzo, coperta di pietre.

(Rubo queste parole a Stefano Nazzi dal Post).

Diventare maschi


A me Tiziano Ferro piace, caldo e pop, e mi ci sono sempre fatta delle gran cantate solitarie in lunghi viaggi in macchina, e quel verso in cui descrive l'impossibilità di ignorare il senso di perdita ("Solo che pensavo a quanto è inutile farneticare, credere di stare bene quando è inverno e te togli le tue mani calde...") può compensare ogni disinvoltura grammaticale; in ogni caso come dice la Soncini a me di quel che succede nelle sue mutande non me ne importa granchè, e trovo tristissima la nostra società che richiede ammissioni e coming out.

Però intanto oggi grazie a Tiziano Ferro, via Cose che Dimentico, ho scoperto questo post di Gianni Vattimo su un libro di Franco La Cecla, mi sembra materiale molto interessante.

Maschi si diventa
di Gianni Vattimo
L'espresso, 14 maggio 2010

"Perché mai, come diceva Simone de Beauvoir, un uomo non si metterebbe mai a scrivere un libro sulla situazione particolare di essere un maschio? Da una domanda come questa muove Franco La Cecla, professore in varie università europee e statunitensi, nel proporre una antropologia del maschio ("Modi bruschi", Eleuthera, euro 13, pp. 128). Maschi, e femmine, in senso proprio non si nasce, ma si diventa. Eppure per molto tempo, nella cultura occidentale, questo non è parso un tema di studio, mentre lo è stato, come si sa, la condizione femminile: le donne hanno per prime preso coscienza della storicità della loro condizione, mentre i maschi hanno a lungo goduto, si fa per dire, della identificazione tra "vir" e "homo": l'humanitas era "ovviamente" un affare al maschile. Perché non sia più così non è solo risultato della rivoluzione sessuale, dei movimenti di liberazione, femminile, gay, ecc. Anzi, questi ultimi sono solo l'aspetto più recente della omologazione moderno-capitalistica di donne e uomini distinti solo dagli attributi genitali, mentre prima si integravano in rapporti sociali ricchi di connotazioni affettive non esclusivamente genitali.
Nella riduzione alla genitalità, è soprattutto il maschio che va in crisi perché da sempre la sua virilità deve formarsi attraverso un laborioso distacco dalla madre e dal connesso pericolo della effeminatezza (acquistando i modi bruschi del titolo), nella costante ansia della prestazione sessuale.
La Cecla, come lo stesso Marx, prova una legittima nostalgia per la comunità precapitalistica dove si poteva diventare veri maschi e vere donne senza ridursi a pura identità sessuale. E dove, come dice Foucault, non si era ancora inventata la categoria psichiatrico-poliziesca della omosessualità, perché era ancora viva la pratica dell'amicizia, non solo virile."

mercoledì 6 ottobre 2010

Words are very unecessary


(lastampa.it)

Boris Goudonov al Regio



Applausi dopo ogni quadro e trionfali alla fine dell'opera hanno salutato questo impressionante Boris Godunov di Musorgskij, inaugurazione della stagione del Regio nel nuovo allestimento coprodotto con il Palau de les Arts Regina Sofia di Valencia e la Fondazione Petruzzelli di Bari; garanti autorevoli il direttore Gianandrea Noseda, a casa sua nel repertorio russo, e il regista Andrei Konchalovsky. (LaStampa.it, oggi)

Cantami di questo tempo l’astio e il malcontento
Di chi è sottovento
E non vuol sentir l’odore
Di questo motore
Che ci porta avanti
Quasi tutti quanti
Maschi femmine e cantanti
Su un tappeto di contanti
Nel cielo blu

Figlio bello e audace
Bronzo di Versace
Figlio sempre più capace
Di giocare in borsa
Di stuprare in corsa
E tu
Moglie dalle larghe maglie
Dalle molte voglie
Esperta di anticaglie
Scatole d’argento ti regalerò

Ottocento
Novecento
Millecinquecento
Scatole d’argento
Fine Settecento
Ti regalerò

Quanti pezzi di ricambio
Quante meraviglie
Quanti articoli di scambio
Quante belle figlie da sposar
E quante belle valvole e pistoni
Fegati e polmoni
E quante belle biglie a rotolar
E quante belle triglie nel mar
(Fabrizio De Andrè, 1990)

martedì 5 ottobre 2010

Fateci avere un bel senso di appartenenza


"Al diavolo la realtà! Dateci un bel po’ di stradine serpeggianti e di casette dipinte di bianco, rosa e celeste; fateci essere tutti buoni consumatori, fateci avere un bel senso di Appartenenza e allevare i figli in un bagno di sentimentalismo ― papà è un grand’uomo perché guadagna quanto basta per campare, mamma è una gran donna perché è rimasta accanto a papà per tutti questi anni ― e se mai la buona vecchia realtà dovesse venire a galla e farci bu!, ci daremo un gran da fare per fingere che non sia accaduto affatto." (Richard Yates, Revolutionary Road)

(Mi scuso con l'autore della foto, ho perso i credits. In ogni caso, la foto è per A.Q.)

Domenica torinese


Torino sa essere bellissima in ottobre, anche quando fa un po' troppo grigio e un po' troppo freddo. Ha le bancarelle dei libri sotto i portici (ho corteggiato un po' una prima edizione einaudiana della sceneggiatura di Uccellacci e Uccellini ma era fuori dalla mia portata...), e il brunch in Piazza Carlina, gli amici che ti vengono a trovare con il Frecciarossa, e una mostra nuova nuova a Palazzo Reale, dedicata a Vittorio Emanuele II primo re d'Italia, uno che davvero ha sgranato nella sua breve statura la storia poco slanciata di questo azzurro paese (azzuro Savoia, per essere precisi), quello di Camillo Benso Conte di Cavour, quello basso con i baffoni, quello cui morirono in sei mesi moglie figlio e fratello per la maledizione lanciata da Don Bosco, quello della Bela Rusin e del tremendo monumento in Corso (appunto) Vittorio.

Inspiegabilmente, appena inaugurata, la mostra ancora manca di parecchie opere significative, ma vale la pena vederla per sentire quanto radicalmente ancora l'Italia sia ottocentesca, piemontese, laica, e bigotta.

venerdì 1 ottobre 2010

Under the bridge downtown, is where I drew some blood


Elementi per riflettere sulle tecnologie, la privacy, l'omofobia, l'essere cretini come si può essere solo a sedici anni, la morte: Stefano Pistolini sul Post, oggi.

SCUSATE, SALTO GIU' DAL PONTE

"La storia che mi ha colpito di più questa settimana è quella del 18enne studente di origini italiane Tyler Clementi che si è buttato dal ponte George Washington che porta da Manhattan al New Jersey, dopo che ciò che gli era stato fatto gli era risultato decisamente non sopportabile. Tyler era un tipo chiuso e che quasi nessuno dei suoi compagni dirà d’aver mai notato. L’unica cosa in cui eccelleva in campo accademico era suonare il violino nella grande università Rutgers, appena fuori NYC, che aveva cominciato a frequentare da un anno – e non è che il violino di questi tempi sia la scorciatoia per la popolarità.

Tyler era omosessuale. La sera di qualche giorno fa aveva chiesto al compagno di stanza il 22een Dharun Ravi, di origini arabe, di poter disporre della stanza per gli affari suoi fino a mezzanotte. Dharun aveva detto di sì, se n’è andato nella stanza della fidanzata Molly Wei – origini coreane – ma prima di uscire ha tirato uno scherzetto al roommate. Ha lasciato accesa la webcam del computer e poi via Tweeter si è dato da fare per avvisare gli amichetti: occhio, accendete i laptop dopo le nove, ci sarà da divertirsi. In diretta il passatempo piccante dell’incontro di Tyler con un altro ragazzo era stato condiviso nella noiosa serata al campus.

Tyler ha retto un paio di giorni alla vergogna. Poi ha lasciato un messaggio sulla sua pagina di Facebook: “Scusate, salto giù dal ponte”. La notizia si è gonfiata subito nei media americani: è di pochi giorni fa il mezzo disastro dei politici che volevano porre rimedio alla legge dell’omertà che governa il rapporto tra omosessualità e forze armate e la storia di Tyler sembra fatta apposta per mettere sul tavolo la questione anche per ciò che riguarda l’ambiente universitario, e la sua componente sempre più instabile dal punto di vista razziale con ciò che ne consegue, quando un nuovo melting pot è stato prodotto ma si è troppo distratti per ragionarci sopra. Nel weekend americano sarà tutto un dibattito televisivo attorno alla questione della privacy violata, delle nuove tecnologie e del loro potenziale distruttivo messo a disposizione di chiunque, delle mine vaganti che galleggiano a filo d’acqua nei social network e dei i tabù continuamente violati, la privacy e l’orientamento sessuale.

Ci metto sopra un’altra questione, più dispettosa: perchè a ben vedere la vendetta di Tyler è stata tremenda, praticamente incancellabile. Già perchè adesso fanno tutti a gara a invocare una punizione esemplare per il suo aguzzino digitale, oltre che regolamentazioni fatte di aria fritta, dal momento che qui si parla del tessuto connettivo di centinaia di milioni di persone. Tyler, col suo laconico ciao al mondo, col dire “se è così, io vado giù”, andando verso il basso anziché dritto per la sua strada, si porta a fondo quel pirla di Dharun. Che credeva con la sua fanfaronata d’essersi reso più popolare e invece si è legato una pietra al collo. Che porterà anche lui giù fino agli abissi della vergogna. Doveva essere uno spasso per lui, con quel nerd del compagno di stanza, le risate con gli amici, la bella ragazza da andare a trovare e tutta la vita davanti. Sorry, gli ha detto Tyler. Vieni giù con me, cretino."

Se la fa Bossi è una battuta, però

In margine all' aggressione a Belpietro, che stigmatizzo perchè la società manichea che vedo appena dietro l'angolo non è quella in cui voglio vivere, oggi scrive benissimo Daniele Sensi, di cui riporto integralmente il post Gli sms di Radio Padania: "Perché certi attentati non succedono mai ai direttori di sinistra?".


Su Facebook cominciano a comparire, inevitabili, i primi detestabili commenti sul (presunto) attentato a Belpietro ("facciamo una colletta per regalare all'aggressore una pistola che non si inceppi", "mi dispiace che nemmeno un colpo lo abbia raggiunto", "magari andrà meglio la prossima volta"..), commenti che, altrettanto inevitabilmente, qualche giornale presto raccoglierà, per dire di quanto la Rete -anarchica e antiberlusconiana- sia pericolosa, e magari bisognosa di regolamentazione. Bene, prima che ciò avvenga, segnalo che sulla radio di un partito di governo -Radio Padania Libera- un conduttore ha appena dato lettura -senza censurare, né stigmatizzare, ma anzi sghignazzandoci sopra- dell'sms di un ascoltatore il quale si chiede "come mai certi attentati non succedono mai ai direttori dei giornali di sinistra":
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