sabato 5 novembre 2011

Più moderno di ogni moderno


Io sono una forza del Passato.
Solo nella tradizione è il mio amore.
Vengo dai ruderi, dalle chiese,
dalle pale d'altare, dai borghi
abbandonati sugli Appennini o le Prealpi,
dove sono vissuti i fratelli.
Giro per la Tuscolana come un pazzo,
per l'Appia come un cane senza padrone.
O guardo i crepuscoli, le mattine
su Roma, sulla Ciociaria, sul mondo,
come i primi atti della Dopostoria,
cui io assisto, per privilegio d'anagrafe,
dall'orlo estremo di qualche età
sepolta. Mostruoso è chi è nato
dalle viscere di una donna morta.
E io, feto adulto, mi aggiro
più moderno di ogni moderno
a cercare fratelli che non sono più.


(Pier Paolo Pasolini)

lunedì 26 settembre 2011

La verità è (quasi) sempre nella risposta più semplice.


Il blog di Andre Jordan è favoloso. Lo dico casomai Babbo Natale fosse incerto su quale sia il regalo per il quale io potrei ululare.

venerdì 23 settembre 2011

Il garantismo riveduto e corretto



Il deputato del Pdl Marco Milanese si salva dal carcere con soli tre voti di scarto: la maggioranza richiesta è di 309, lui ne ottiene 312.
Il governo tiene ma a Silvio Berlusconi non va giù lo scarto esiguo tra i sì e i no.

venerdì 9 settembre 2011

In una manciata di polvere vi mostrerò la paura


Quali sono le radici che s'afferrano, quali i rami che crescono
Da queste macerie di pietra? Figlio dell'uomo,
Tu non puoi dire, né immaginare, perché conosci soltanto
Un cumulo d'immagini infrante, dove batte il sole,
E l'albero morto non dà riparo, nessun conforto lo stridere del grillo,
L'arida pietra nessun suono d'acque.
(...)

E io vi mostrerò qualcosa di diverso
Dall'ombra vostra che al mattino vi segue a lunghi passi, o dall'ombra
Vostra che a sera incontro a voi si leva;
In una manciata di polvere vi mostrerò la paura.
(T.S. Eliot, La Sepoltura dei morti, in La Terra Desolata, 1922)

Photo: Anthony Correia/Getty Images, vista nel bellissimo portfolio de Il Post.

Hasta siempre, comandante


Dieci anni fa, il 9 settembre 2001, appena un momento prima che il nostro mondo cambiasse, moriva in Afghanistan Ahmad Shah Massoud. Oggi Ettore Mo ce lo ricorda sul Corriere.

"Lo vidi per l'ultima volta a Strasburgo, dov'era approdato il 7 aprile del 2001 per chiedere aiuto all'Europa. Si è presentato col suo vestito afghano, di lino bianco, il berretto di felpa buttato indietro sulla dura lana dei capelli. Aveva solo 47 anni ed era angosciato.

«I governi europei - confidò con amarezza - non capiscono che io non combatto solo per il mio Panshir, ma per bloccare l'espansione dell'integralismo islamico scatenato a Teheran da Khomeini... Ve ne accorgerete»".

Ce ne siamo accorti.

Photo: Luigi Baldelli

lunedì 5 settembre 2011

Jacques




Da La Stampa.it di oggi.

Nota 1: Jacques Kerouac???
Nota 2: e come hanno collaborato al progetto, con una seduta spiritica????

domenica 4 settembre 2011

Domenica di settembre, duemilaundici

Piove.
Ho mal di gola.
Ho pensieri.
Ho un libro di Michela Marzano in lettura, e molti altri.
Ho su i CCCP.
La manovra.
Il paese.
Il lavoro.
Io.




io sono perso
sono confuso
tu fammi posto
allarga le braccia
dedicami la tua notte
la notte successiva
e un'altra ancora
dedicami i tuoi giorni
dedicami le tue notti
oggi domani ancora
stringimi forte
coprimi avvolgimi
di caldo fiato scaldami
di saliva rinfrescami
vorrei morire
ora


CCCP,Svegliami (Perizia Psichiatrica Nazionalpopolare, 1989

giovedì 7 aprile 2011

Dietrologia della carta igienica

«Sono contraria ai contributi chiesti ai genitori per le spese di funzionamento della scuola, perché i soldi ci sono e chi se li fa dare dalle famiglie lo fa per attaccare il governo» Maria Stella Gelmini su Rep oggi.

giovedì 31 marzo 2011

giovedì 3 febbraio 2011

Il fatal balcone


Siamo stati un popolo di piazza anche noi. E non stupisce che non lo vogliamo più essere.


Dal fatal balcone una Roma mai vista
Mattia Feltri, LaStampa, 3 febbraio 2011

Il brivido del feticista non si racconta, si raccomanda. Anche se adesso è inutile che vi affrettiate verso Palazzo Venezia: il fatal balcone non è più un tabù ma non è ancora una consuetudine. E questa potrebbe essere la risposta alla domanda che molti si saranno posti: come mai sul balcone - dal quale Benito Mussolini, il 10 giugno 1940, dichiarò l’ingresso nella Seconda guerra mondiale, dopo avervi arringato gli italiani («italiani!») per un decennio e mezzo - non si è mai più vista anima viva? La stessa domanda se l’era posta Mario Resca (direttore generale per la valorizzazione del patrimonio culturale), e gli era stato risposto che una delle prime leggi repubblicane impediva l’utilizzo del balcone per scopi turistici o ricreativi o anche altamente culturali.

Non si sarebbe fatto del poggiolo un luogo della memoria, o addirittura della nostalgia. Tanto è vero che quel coriandolo di pietra (più o meno ottanta centimetri per due metri e mezzo) era stato ultimamente adibitio a deposito per due motori dell’aria condizionata. E, come racconta a La Stampa la sovrintendente per il Polo museale della città di Roma (di cui Palazzo Venezia fa parte), Rossella Vodret, ricopriva il ruolo di appoggio logistico per le fasi di montaggio e smontaggio delle mostre. L’importante era che nessuno si affacciasse mai, né per la caricatura né tantomeno per l’emulazione. La lunga ricerca della leggina, dice oggi Resca, «si è conclusa in nulla».

Cioè, la legge non esiste, se non come tradizione orale, una specie di eccesso di zelo asceso di bocca in bocca alla dignità di norma. E la finestra che dà sul balcone era quindi perennemente occultata da un pesante tendaggio nero e chiusa con un lucchetto per una damnatio memoriae spontaneamente nata fra i gestori del Palazzo, dalla notte del Gran Consiglio in poi (25 luglio 1943). Ma qualche giorno fa, visitando insieme con Resca la mostra «Due imperi.

L’Aquila e il dragone», a Giorgio Napolitano è stato aperto e mostrato il balcone, sebbene il presidente si sia limitato alla sbirciata e abbia prudentemente evitato di sporgersi. «Nell’occasione - dice Resca - e dopo molte altre chiacchierate, abbiamo chiesto al Capo dello Stato se considerasse sconveniente che il balcone fosse aperto e utilizzato, di quando in quando». Napolitano non si è opposto. Naturalmente la cosa va fatta con le cautele del caso.

Ieri, per esempio, per accedere al luogo così a lungo calpestato dagli stivaloni del Duce, il cronista ha dovuto spuntare una considerevole quantità di permessi. La praticabilità del balcone non sarà automatica, almeno non da subito. Non andate domattina a compulsar la mostra e battere i pugni quando due gufi nerovestiti, piazzati a guardia della finestra, vi negheranno l’affaccio. Insomma, come dice Rossella Vodret, il «balcone fa parte di un palazzo storico, che ha cinque secoli e mezzo di esistenza, una piccolissima porzione della quale dedicata al fascismo.

Credo sia giusto che oggi, sfumati i rischi del pellegrinaggio elegiaco, il balcone sia restituito al palazzo, al museo, alla vita». E dunque è probabile che un pomeriggio di aprile, senza annunci e squilli di tromba, si deliberi di aprire le finestre per far entrare un po’ di luce e di aria, e che di conseguenza i visitatori abbiano la facoltà di dare un’occhiata alla piazza, così come la vedeva Mussolini durante i suoi orgasmi oratori.

E che la cosa si ripeta poi frequentemente sino a diventare normale. Certo che, con l’interesse che gli italiani continuano a dimostrare per il Ventennio, ci si domanda come mai, caduto il divieto sacrale, non si sia deciso di trasformare il luogo in un business. Un biglietto per visitare la sala del Mappamondo (dove il Duce lavoravae riceveva le ospiti per il quotidiano relax) e l’annesso balconcino: soldi a palate per finanziare la cultura, sempre a corto di liquidi.

A dire la verità, è un’idea talmente ovvia che è venuta a tutti. Ma non è sembrato il caso. Non ancora, almeno. Certe coscienze sono così sensibili, sul tema, così storicamente corrette, che si è giudicato già un bel colpo togliere le catene alle maniglie senza cori di geremiadi. Poi, fra qualche tempo, chissà.

mercoledì 5 gennaio 2011

La prima cosa bella


Via IlPost ho scoperto questo sito, Unurth Street Art, e mi sto crogiolando nella bellezza di queste immagini. Quella qui sopra è di un progetto di street art a Lisbona.

Buon anno.
Che il colore inondi le strade.
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