mercoledì 21 aprile 2010

Del perchè si compra e non si scarica, ovvero del Baustellismo e dell'Antibaustellismo

Anche in tempi di cassa integrazione, sono d'accordo con quel che scrive oggi Matteo Bordone, di cui riporto qui solo un pezzetto, perchè vale la pena leggere tutto il post:

(scena: Buscemi a Milano, Matteo e commesso, cd dei Baustelle)

Gli chiedo come stia andando il disco, se stia vendendo.

(Si, tantissimo) (ndr)

E poi aggiunge «C’è stato tutto. C’è stata l’attesa, e il giorno che è uscito ne abbiamo venduti un botto; poi abbiamo continuato a venderli sempre, e sempre di più. È una delle cose che sta vendendo di più in assoluto. Erano anni non vendevamo un disco in questo modo.»

Adesso la voglia di vomitare in testa a quelli che hanno dato ai Baustelle degli snobbini elitari è forte. Ma cercherò di contenermi e dire quello che penso.

Il grosso problema delle chiacchiere sui dischi e i musicisti che si leggono in rete è che chi parla non spende i soldi per comprare i dischi. Forse prima, prima degli mp3, li spendeva a Natale, ne comprava un po’ nel corso dell’anno, ma non con la continuità e la schiuma alla bocca di chi i dischi li compra dei tempi delle paghette ginnasiali, e non ha mai smesso. Spendere o scaricare non sono la stessa cosa. In quel gesto, nell’acquisto – non parlo di iTunes o supercooldigitalmuzakmarketplace.com, cercate di capire – c’è un’espressione di volontà e scelta che altrove non c’è. La stessa che vale per la moda, per i viaggi, per i cellulari. Pago per quello che mi piace e in cui mi riconosco.

Il discorso su quello che è pop o non è pop ha preso ultimamente una deriva imbecille, che si muove tra il fenomeno del mi-si-nota-di-più e quello del controsnobismo.

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